Da Repubblica Napoli del 16.12.2012
Quest’anno il premio Ubu – il più importante riconoscimento per chi fa teatro in Italia – nella sezione “attore under 30” è stato assegnato a sette giovani della compagnia napoletana Punta Corsara. I loro nomi sono Mirko Calemme, Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Vincenzo Nemolato, Valeria Pollice, Antonio Stornaiuolo e Giovanni Vastarella. Di età compresa tra i ventuno e i ventisei anni, hanno conosciuto il teatro ai tempi della scuola partecipando alle prime edizioni di “Arrevuoto”, poi si sono formati come attori nel progetto Punta Corsara – nato sull’esempio del Teatro delle Albe di Marco Martinelli a Ravenna – con maestri di prima grandezza come Santagata, Morganti, Manfredini, Moscato e sotto la guida di Emanuele Valenti che li ha seguiti fin dall’inizio del percorso, al termine del quale è arrivato il primo spettacolo, tratto da Viviani, con la regia di Arturo Cirillo.
Alla scadenza del progetto, la decisione di andare avanti da soli, la nascita della compagnia insieme a Valenti e Marina Dammacco, la messa in scena di nuovi spettacoli, con un occhio ai classici ma anche con la voglia di raccontare il presente (ne “Il convegno”, per esempio, smontano con giocosa cattiveria gli stereotipi degli “esperti” sui mali della periferia). Con il tempo e l’esperienza sono diventati loro le giovani guide per gli adolescenti delle nuove edizioni di Arrevuoto, e poi conducono laboratori con gli studenti a Milano e Lamezia Terme rimettendo in circolo l’impasto di teatro e pedagogia nel quale sono stati allevati. Alcuni di loro hanno lavorato con altri registi, al cinema e in teatro – Scaparro, Cotroneo, Garrone –, ma ogni volta con l’intenzione dichiarata di rientrare nel gruppo. «Si sono intestarditi a fare teatro – usa questa espressione Emanuele Valenti, che gli ha fatto da chioccia in questi anni –. Anche in un momento così difficile, consapevoli che i riflettori sono puntati altrove, che quando andiamo in tournée dividiamo più che altro i disagi e le scarse paghe in parti uguali, hanno scelto di restare uniti e non muoversi da qui. Non abbiamo ancora una sede, ma la casa della compagnia è il quartiere».
Il quartiere in questo caso è Scampia. Sei dei sette premiati, infatti, sono nati e cresciuti là e conservano un legame forte, attivo, con il territorio. Ma sarebbe riduttivo interpretare la loro parabola come la solita eccezione di un gruppo di giovani tenaci e di talento che conferma la regola di un quartiere senza speranza. Solo chi considera Scampia come un simbolo e non come un luogo reale dove vivono persone in carne e ossa può cadere nel tranello. Quelli di Punta Corsara conoscono e alimentano la “normalità” del quartiere, e sanno che i suoi mali non hanno radici metafisiche e destini immutabili ma sono il prodotto di una storia e di precise volontà, o assenze di volontà. In questo senso, sono di Scampia come potrebbero essere di San Giovanni o Soccavo, di Ponticelli o Melito.
La morale della storia è un’altra. Il fresco riconoscimento a Punta Corsara ha origine in quei progetti a cavallo tra pedagogia e teatro nati alcuni anni fa con l’appoggio delle amministrazioni locali e del ministero. Basati su modelli solidi e sperimentati altrove, sostenuti dalla passione di giovani teatranti e operatori sociali, hanno avuto il successo che meritavano e sono stati per questo molto usati dai politici, forse finanziati con più soldi di quanti ne fossero necessari, ma per tanti giovanissimi napoletani sono stati soprattutto un’occasione rara, un modo per aprire delle porte, degli spazi sia fisici che metaforici, in cui incontrare coetanei diversi e lontani, seppur abitanti della stessa città, e adulti che avevano delle cose da trasmettere e la voglia di farlo. Erano i tempi delle vacche grasse, lo sappiamo, ma tra tante iniziative velleitarie e spendaccione nate allora, quelle esperienze hanno lasciato il segno, coniugando l’ambizione di fare teatro vero, che sperimenta e ha delle cose da dire, con l’impegno di formare giovani cittadini critici e pensanti.
Ne valeva la pena, questo ci dice il riconoscimento a Punta Corsara, alcuni di quei ragazzi sono ancora in scena, seguendo a modo loro, in autonomia, il cammino intrapreso. Ma soprattutto – ci dice – varrebbe la pena di insistere. Anche in tempi di vacche magre, anzi soprattutto in questi tempi, si può scegliere con decisione una strada, lasciando ai margini il superfluo; si possono aggregare e motivare le persone più capaci dimostrando affidabilità e chiarezza d’intenti; si possono privilegiare le idee forti, i progetti di ampio respiro e di lunga durata; si può, insomma, costruire qualcosa che resti, usando l’arte non per intrattenere o consolare ma per invogliare i più giovani a gettare uno sguardo su mondi inaspettati, per cambiare davvero le loro vite. Il premio Ubu a Punta Corsara sarebbe insomma anche un promemoria per chi governa le cose dell’arte e della cultura – ma solo per chi ha ancora la curiosità e la sensibilità per accorgersene. (luca rossomando)