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10 Novembre 2016

La Nuova Gianturco di Di Bella. Un concept album di periferia

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(foto di giulio piscitelli)
(foto di diego miedo)

Tre anni fa Francesco Di Bella, ex cantante dei 24 Grana, pubblicava Ballads Cafè, disco in cui reinterpretava in chiave acustica, insieme ad Alfonso Bruno, alcune delle più conosciute canzoni del gruppo. Contemporaneamente, inaugurava un nuovo filone di musica folk cantautorale partenopea, che proprio attraverso la forma della ballad ha ispirato la nascita di nuove formazioni come Foja, Fede ‘n’ Marlen e altre. Oggi Di Bella ritorna con Nuova Gianturco, progetto più squisitamente pop dove però l’impronta folk – ripresa dalla tradizione americana, nonché struttura portante per una scrittura e una lingua napoletane – ritorna arricchita e contaminata da sonorità moderne.

Il disco, uscito il 30 settembre per La Canzonetta insieme a Sintesi 3000 e Self distribuzione, è stato prodotto da Daniele Sinigallia (fratello di Riccardo, ex dei Tiromancino) e vanta collaborazioni importanti, quasi volesse rappresentare un nuovo esordio per Di Bella, o comunque il segno positivo di un sound rinnovato, dove il ricorso alla tradizione musicale partenopea e mediterranea appare meno retorico e più convincente.

Nuova Gianturco è anche un concept-album, un disco che parte dal racconto di una parte periferica della città, simbolo di un fallito progetto urbanistico e sociale, ma che come spesso accade potrebbe rappresentare un modello di integrazione e di rinascita “dal basso” (talvolta l’unico possibile per certe aree urbane). Allo stesso tempo apre il suo spettro a una riflessione più ampia sulla contemporaneità in cui viviamo. Uno spunto per riflettere sulle condizioni di una periferia come quella di Gianturco, dunque, ma anche su quella dei migranti che spesso proprio nelle periferie trovano accoglienza e solidarietà; o sulla precarietà del lavoro e dei sentimenti, sulla necessità di protestare benché nessuno sembri ascoltarci sul serio.

La traccia che dà il titolo all’album evoca ricordi personali, come quei passaggi e quei transiti attraverso i quali, grazie a Officina 99, lo stesso Di Bella ha contribuito a definire con 24 Grana, 99 Posse, Almamegretta, Sangue Mostro, la storia recente della musica napoletana. Aziz, realizzata proprio in collaborazione con Zulu, ci spiega candidamente che in fondo non ne sappiamo nulla del dramma dei migranti, mentre dal punto di vista strettamente strumentale uno degli episodi meglio riusciti del disco è Progetto, realizzato con Neffa, dove il mix delle due voci e l’ingresso dell’ospite in punta di piedi dà vita a un delicatissimo cameo, oltre che a una piacevole hit radiofonica. In generale le aperture melodiche, inaspettate e fugaci, costituiscono uno degli elementi di maggior pregio dell’album. Merito anche di chi ha suonato in questo disco: di nuovo Alfonso Bruno alle chitarre, Andrea Pesce alla tastiere, Marjorie Biondo alle voci, lo storico bassista dei Fugazi, Joe Lally, e lo stesso Daniele Sinigallia ancora alle chitarre.

Una nota su quella che forse è la traccia meno riuscita del concept: la reinterpretazione di Brigante Se More dei Musicanuova, realizzata  insieme a Dario Sansone dei Foja e Claudio Domestico, in arte Gnut. Un classico importante, ma che stona un po’ con l’impianto generale del disco. Forse un ulteriore pezzo inedito, realizzato con lo stesso delicato e ispirato piglio, avrebbe dato vita a un’opera più completa, evitando quel tipo di retorica – nei temi oltre che nella resa strumentale – cui si alludeva in apertura e in cui cade talvolta la musica napoletana. (danila simeone)

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