È un venerdì pomeriggio e non ho mangiato ancora. I brontolii dello stomaco rimbombano per piazza del Gesù, almeno credo io. Guardo il telefono, sono le sette. A questo punto potrei tirare avanti fino a cena, forse ce la faccio. «Ma tu le hai mai provate le polpette di Lander Suisse?», mi chiede un amico. Lander Suisse significa “terra svizzera”, ma è una paninoteca di calata Trinità Maggiore, sta di fronte allo Ska.
Sembra un posto come un altro, ma così non è. Lander Suisse è stato uno dei primi pub napoletani. La vecchia gestione aprì la paninoteca – sempre con lo stesso nome – a metà degli anni Sessanta. L’idea fu di una napoletana girovaga, appena tornata in Italia dall’America dove i McDonald’s erano già una realtà consolidata. Le radici svizzere le suggeriscono il nome. Nei primi anni Ottanta il pub viene preso in gestione dalla signora Tina. È una rivoluzione: nel corso degli anni a venire Tina introduce gradualmente nella vetrina i contorni tipici della tradizione napoletana, che nella composizione dei panini vengono ormai largamente preferiti agli americani hamburger e hot dog. La signora Tina, bellissima donna che da giovane doveva somigliare a Grace Kelly, gestisce ancora oggi la paninoteca.
È vero, le polpette di Lander Suisse sono una prelibatezza. Costano un euro e cinquanta e sono grandi quanto una rosetta. Non c’è carne dentro, solo verdure (melanzane e friarielli) impastate con uova e formaggio. Un’altra varietà è quella con la provola. «Le polpette nel pub le ho inventate io, perché sono un piatto tipico napoletano, però ho deciso di farle senza carne perché qua al centro storico è pieno di ragazzi vegetariani, gente che magari entra dentro allettata dal bancone e poi si fa i panini senza carne. Dimmi tu in quale città al mondo con un euro e cinquanta mangi così bene e te ne vai sazio…». A volte il figlio della signora, che pure lavora in paninoteca, divide la polpetta a metà, la passa sulla piastra e in mezzo ci mette le melanzane a funghetti.
Si vede che la signora Tina ha una passione enorme per la cucina. La maionese la fa lei, non la ordina, ed è delicatissima. Da sempre ordina pane e carne presso lo stesso fornitore: «Pensa che spesso quando ci scarica la merce, ne approfitta, si fa preparare una quindicina di panini e li porta a casa e ai parenti». La passione per la cucina e la voglia di imparare nascono presto. I genitori di Tina avevano due famose pizzerie al Vasto, la nonna, invece, durante la guerra gestiva un ristorante alla Marina, dove andavano a mangiare i soldati americani.
Lander Suisse è stato per venticinque anni a via Roma, fino a quando, nel 2005, Tina decise di chiudere dopo l’omicidio di uno dei suoi dipendenti, proprio nei pressi del suo locale. Ma questa è una storia che Tina prova a mettersi alle spalle: si trasferisce a Terracina, dove apre un bar. Il figlio, nel frattempo, rientra dal Messico e così insieme, due anni dopo, scelgono di tornare a Napoli. Lander Suisse riapre, questa volta a ridosso di Piazza del Gesù, dove ora la signora Tina dice di sentirsi più tranquilla.
«Tu attraverso la storia mia devi far emergere pure i problemi che ci stanno qua», mi dice Tina. In effetti gli affari non vanno come lei si aspetterebbe: «Faccio questo lavoro da tanti anni e non tengo una casa di proprietà, con quello che guadagno riesco a vivere e a far sopravvivere il negozio». Ma quello che conta più di tutto, ora, è l’aspetto umano: «Vedi, quando i clienti ti fanno i complimenti per quello che mangiano, per me è una grande soddisfazione, una sensazione che va oltre tutti i soldi che si possono guadagnare». Piazza del Gesù è crocevia per universitari e liceali. I ragazzi si affezionano alla signora Tina, si confidano. La prima sensazione che si ha quando si entra da Lander Suisse, complice il sorriso della bionda signora dietro il bancone, è quella di essere accolti in una cucina familiare, di essere tornati a casa per cena.
«L’altra volta un ragazzo si è sentito male qui fuori, allora l’ho fatto sedere sulle poltroncine, gli ho offerto acqua e zucchero. Secondo me aveva pure preso qualcosa, allora ho cercato di fargli capire che così si stava rovinando». Ormai, mi dice, il suo è un marchio conosciuto in città, e la gente associa la paninoteca al suo volto. I più vecchi sono clienti da trent’anni, probabilmente c’è un’intera generazione cresciuta (forse troppo) con i panini della signora Tina.
«Ma se non ci fossi io qui? Se, mettiamo il caso, qualcuno che comunque cucina bene decidesse di aprire un pub qui, ma sai quanto durerebbe? Sai quanti ne ho visti fallire in pochi mesi? Il problema è che chi governa la città non la conosce, l’autista lo carica sotto casa e lo porta in municipio, e così sembra sempre tutto rose e fiori». Non è poi difficile immaginare il motivo delle lamentele, le do ragione. Di macchine al centro ne passano sempre meno, clienti ce ne sono pochi. «Però io credo sempre che i napoletani hanno una marcia in più, è vero. Anni fa aprii una pizzeria a Caserta, la pizzeria Napoli, proprio accanto alla pizzeria La Ciociara, che è probabilmente la più conosciuta di Caserta. Solo che io portai la novità della pizza americana, mentre loro tenevano ancora la pizza a placche. Adesso va fortissimo, l’ho lasciata a mio fratello. Pare che a Napoli non ti riconoscono mai alcune qualità o in generale quello che ti spetta, è avvilente. Tu pensa che mia mamma dieci anni fa è caduta a via Roma, ancora deve avere il risarcimento. Allora secondo te uno ch’avessa fa’?».
Le dico che non lo so, lei mi suggerisce che mettere una bomba forse è la soluzione, poi sorride. Le chiedo una polpetta, ma sono finite, così decido di andare via. «Uè! Senti qua… tu scrivi così: “Ha detto la signora Tina che la sera, quando guarda quella statua tutta sola, senza neanche un’anima in piazza, le viene una tristezza…”. Mi raccomando, scrivilo. Perché questa è la piazza più bella della città più bella al mondo, e non esiste che l’hanno fatta diventare così desolata. Napoli pare che è tornata a essere un grande paese, non è più una città». (davide schiavon)