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9 Maggio 2017

I LUOGHI DELLA MUSICA. Aspettando l’elettronica al Lanificio di Porta Capuana

(disegno di chiara tirro)
(disegno di chiara tirro)

Phonurgia è un’associazione culturale che ha deciso di spendersi per realizzare in città degli appuntamenti dedicati alla musica raramente ascoltata – roba che viene di solito liquidata da addetti ai lavori e non, come “di ricerca”. Arriva al suo quinto appuntamento con le pile un po’ scariche – si veda la pubblicizzazione meno invasiva dell’iniziativa – pur assecondando la logica del nomadismo che ha segnato il cartellone: stavolta l’evento si tiene allo spazio IntoLab di piazza de Nicola, nel complesso del Lanificio. In scena musica elettronica ballabile, special guest John T. Gast che divide il main stage con Heith – al secolo Daniele Guerrini – mentre Pinch Roller, tre quarti di Phonurgia – Grieco, Napolitano, Nocera – aprono le danze.

Procediamo con ordine. Infatti, pur in lieve ritardo rispetto all’orario previsto per lo start pubblicizzato – le 22 – siamo in netto anticipo. Tanto che ancora non è in postazione l’esattore di turno e ci sbarazziamo della pratica del biglietto gratuitamente. Davanti al portone d’ingresso un buon uomo con un cappello da chef organizza cose già pronte da servire agli affamati di turno, mentre la musica viene già diffusa dai tre di cui sopra in assetto djing avvalorato dall’utilizzo delle bobine. In un attimo torno alle feste di diciotto anni, quelle occasioni in cui chi passa la musica risulta anima della festa solo a tratti. In effetti, in sala non c’è nessuno. Se non un’esposizione di immagini la cui curatela rimanda all’altro, a Lacan, al desiderio. Ed è subito ’68.

Così aspettiamo succeda qualcosa nell’unico spazio aperto, quello presidiato da chi lentamente arriva, da chi pigramente resta. La botta di mal di testa non aiuta. L’attesa di un pubblico è l’elemento giocato nel far slittare di almeno un’ora l’intervento del britannico Gast, che sul divano condivide insieme all’altro ospite della serata l’urgenza e la necessità di bere qualcosa, che va servita loro gratuitamente, in quanto artisti della serata. Optano per qualcosa di secco consolidando la pratica del bere come reimpiego/panacea delle attese.

Insomma, l’inerzia muove le fila di una serata che permette di fare almeno due osservazioni da lontano pur standoci dentro: da un lato la musica elettronica recita la parte di muzak del momento – pur descritta con toni da post-filosofia dell’ascolto; dall’altro il pubblico anima la sua fruizione, pur essendo sconosciuta ai più la sua urgenza. Infatti, i presenti – ben altri che il pubblico abituale delle iniziative precedenti – inciuciano dei fatti loro, sono tutti compagni sulle disgrazie altrui, ci mettono il loro impegno nell’impiegare il fine settimana in modo soddisfacente. In altre parole, un pubblico maturo, radicato nelle iniziative serali tra cocktail e sigarette da pacchetto.

Sono le 23 e 15 quando decido di iniziare ad appuntarmi qualcosa per scavalcare questo nulla ovattato. Per fortuna a Napoli c’è sempre qualcuno che conosci con cui scambiare quattro chiacchiere. Il qualcuno di turno si chiama Giulio, è un organista. Mi racconta dei progetti futuri, della cattolica Francia dove l’organista di Notre Dame abbusca quaranta euro a messa. E poi discussioni a latere dedicate alla gestione della cosa musicale, oggi.

La separazione tra la cassa e il bancone del bar movimenta le file disordinate, disponendo la calca dinanzi al varco tra lo spazio aperto e lo spazio chiuso. Insomma, la fruizione si oggettivizza in un bicchiere. E questo dato si insinua sotto traccia come leit-motiv della serata organizzata.

Non pensate sia finita, l’attesa. Bisogna superare la mezzanotte. La situazione non cambia di molto se non perché c’è un po’ di gente in più, se non perché la musica si fa più pressante. Ma, credetemi, le selezioni sono davvero roba che passa distrattamente. Insomma, seppur diverse, non altre che quelle che propone il qualsiasi bar che spara musica a un aperitivo, sebbene risparmiandosi una sì pomposa presentazione.

Il colpo di scena è affidato alla macchina del fumo, il cui impiego annuncia lentamente il cambio esecutore. Finalmente è arrivato il momento di John T. Gast, il guru della musica elettronica ballabile per la prima volta a Napoli. Un fumo che fa nebbia, ché l’atmosfera è indice di un muoversi dei fantasmi per la sala. Arriva a suon di treni d’impulsi, che non investono nessuno. Così, mi son troppo rotto le palle di aspettare e dare senso a un live che può andar bene a chi vuole passare la serata. Li lascio al disagio della scena.

All’uscita l’esattrice non fa neanche caso a cosa le succede intorno, troppo impegnata com’è a scrollare un cellulare che anima la sua presenza. (antonio mastrogiacomo)

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