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culture
29 Maggio 2018

I LUOGHI DELLA MUSICA – Dissonanzen, venticinque anni di musica collettiva

Antonio Mastrogiacomo dissonanzen, domus ars, karlheinz stockausen, markus stockausen, musica porosa
(disegno di chiara tirro)
(disegno di chiara tirro)

Un vicoletto mette in comunicazione San Domenico e Santa Chiara. Lo percorro per evitare via Benedetto Croce, chiassosa e colorata. Un vicoletto, per cambiare il mood acustico della passeggiata. Questione di microclimi da percorrere all’ombra. Scopro così della piscina nell’albergo con parcheggio: Ecumanospace, la struttura ricettiva che avanza fino al tempo libero dei residenti. Svolto a destra, direzione Domus Ars. Manco da quella sera, musiche di Stockhausen. Torno questa sera, c’è anche Stockhausen.

Nel primo caso, il contesto di Scarlatti Contemporanea ospitava il primo di due incontri dedicati a Karlheinz Stockhausen, il mistico e rivoluzionario compositore elettronico nel decennale della scomparsa. Stavolta Markus, suo figlio trombettista, torna per siglare Musica Porosa II: Dissonanzen ha deciso di festeggiare così i suoi primi venticinque anni di attività in città, proprio il 25 maggio. Nel 1993 – quando questa iniziativa prese il via per opera di Marco Vitali e Massimo Bonfantini – i protagonisti furono gli studenti dell’Orientale, con un questionario in cui si chiedeva della musica contemporanea, questo mondo così sconosciuto e un po’ misterioso; l’adesione a questo questionario portò al coinvolgimento di un pubblico che accompagna ancora oggi, in maniera costante, le attività del gruppo. Proprio Markus Stockhausen firmò il primo Musica Porosa I, genere classical stile contemporary CD del catalogo Niccolò (2004).

Dissonanzen tesse continuativamente la sua ragnatela per accogliere il pubblico che si interessa del suono quale momento legato alla creatività, incoraggiato dalla pratica della musica improvvisata o anche, in accordo alle parole di Stockhausen padre, intuitiva. Dissonanzen è proprio un bel nome per chi fa musica contemporanea: il richiamo tanto musicale quanto sociologico suona amico a chi abbia una certa familiarità con la questione: l’impegno dei musicisti coinvolti nel portare in avanti la faccenda omaggia una certa tradizione che coniuga pensare la musica e fare musica. Da segnalare la presenza del Goethe Institute nell’organizzazione della serata.

In campo un ottetto, tutti uomini. Markus Stockhausen (tromba); Tommaso Rossi (flauti); Claudio Lugo (sax); Marco Cappelli (chitarra); Francesco D’Errico (pianoforte); Ciro Longobardi (tastiere e elettronica); Ron Grieco (contrabasso); Stefano Costanzo (batteria). Il nucleo storico, più nuove leve insieme all’ospite. L’amicizia definisce questa esperienza in maniera radicale, da leggere nelle complicità in gioco. Il posizionamento sul palco è immediato: il pianoforte regge lo sfondo, gli altri in avanti, sulle sedie, con possibilità di movimento per alcuni.

Inizia Markus, con un frullato ripreso all’estremo opposto dal flauto di Tommaso Rossi; seguono gli altri interventi che si sommano alle parti e definiscono il tutto. In gioco la presenza tanto di un pubblico quanto di una registrazione: si suona allo stesso modo per entrambi. Documentare Musica Porosa II significa infatti fissare l’esperienza estemporanea per renderla in seguito esponibile, secondo una logica a due tempi che misura gli spazi della musica nella contemporaneità.

Ascoltiamo qualcosa di equilibrato, calibrato, cercato e non capitato. Si fa esperienza dell’esecuzione, partecipando con l’ascolto. Proprio la pratica dell’ascolto può delimitare il campo: da un lato quello degli esecutori che si ascoltano tra loro; dall’altro quello del pubblico che ascolta gli esecutori. Il movimento del suono nello spazio viene elaborato da chi puntualmente gioca la sua parte. La personalità di Stockhausen emerge ed è mediatrice della forma musicale: guida il gruppo per rafforzare la sua identità. Un piccolo intermezzo giocato a piatto battente dal trombettista tedesco incoraggia l’ascolto a occhi chiusi: uno stacco dovuto all’attenzione del pubblico, fondamentale nel ricambiare l’equilibrio necessario a una performance di questo tipo.

Esperienza che nasce dal collettivo, in modo così radicale da non dover più riconoscere il singolo nel gruppo, Dissonanzen mette in campo una pratica del fare musica insieme. Lo fa da venticinque anni, col carico dell’entusiasmo che caratterizza la sua presa di iniziativa nei confronti del circostante musicale. Lo fa da venticinque anni, nella città di Napoli. (antonio mastrogiacomo)

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