Qualche decina tra lavoratori di altre aziende e appartenenti al sindacato, alcuni degli operai licenziati e reintegrati, pochissimi tra i loro colleghi in servizio in Conateco e Soteco. «Ma questo è normale», spiega Laura sorridendo. «Durante gli ultimi mesi a lavoro, il rapporto con gli altri dipendenti è stato disastroso. La maggior parte mi ignorava, altri mostravano ostilità. È normale quando l’azienda per cui lavori ti fa la guerra: il lavoratore è sempre vittima di un ricatto. È normale, ma non vuol dire che lo digerisci facilmente».
Varco Sant’Erasmo, ultimo ingresso verso est del porto di Napoli. Siamo quasi a San Giovanni a Teduccio, circondati dai container di MSC, Maersk, P&O Nedlloyd, China Shipping. Sebbene ci separi solo qualche chilometro, i turisti della stazione marittima sembrano lontanissimi. Da questo lato il sole picchia in testa senza possibilità di ripararsi, e poi gru, camion in fila davanti ai cancelli, operai e container. Sono circa le tre, l’orario per cui è convocata la conferenza stampa dei quindici lavoratori licenziati dalle compagnie Conateco e Soteco, di cui tre recentemente reintegrati (una soltanto in via definitiva) da una sentenza del tribunale di Napoli. I giornalisti però sono assenti, a parte una giovane cronista svedese. La conferenza diventa così un presidio, mentre i sindacalisti del SiCobas spiegano al megafono il senso dell’iniziativa, e distribuiscono volantini agli operai che escono dai cancelli per il fine turno.
Conateco ha provato a licenziare centouno tra operai e impiegati già nel 2015. Dopo una prima battaglia, quella crisi si “risolse” con il ricorso alla cassa integrazione, ordinaria e poi straordinaria. Più che una reale difficoltà economica, l’intenzione dell’azienda era quella di sfoltire il parco lavoratori di lungo corso (cominciando da quelli maggiormente sindacalizzati), per poi avere la possibilità di assumerne dei nuovi con contratti a tutela minore (dal Jobs Act in giù). La cassa integrazione è finita a dicembre, ma nel frattempo i licenziamenti sono comunque avvenuti.
«L’azienda ha ottenuto quello che voleva, se si fa eccezione per alcuni di noi che l’hanno portata in tribunale», spiega T., reintegrato in primo grado e in attesa della sentenza definitiva. «In questi anni ha effettuato una serie di licenziamenti con cause pretestuose, che corrispondono proprio al numero di cento unità che il piano del 2015 prevedeva di tagliare. Piccoli litigi tra colleghi, normali incidenti che capitano in un lavoro ad alto livello di stress come il nostro, ma anche presunte non idoneità per motivi di salute e rifiuto di tornare al posto di lavoro mentre si era in ferie. Ogni pretesto è stato sfruttato per far partire lettere di licenziamento, sempre individuali e mai collettive, dato che l’utilizzo della cassa integrazione non permette quest’opzione. La maggior parte dei lavoratori, dopo una trattativa con l’azienda, ha accettato di dimettersi portandosi a casa una buonauscita molto bassa, attraverso accordi “tombali”. Noi quindici siamo stati saldi sulle nostre posizioni, e ora uno alla volta il tribunale ci sta dando ragione».
Laura ha cinquantanove anni e da dodici, al momento del licenziamento, lavorava in Conateco. È la prima reintegrata in via definitiva dal tribunale. Da rappresentante sindacale della Cgil in azienda, dopo aver rifiutato una riduzione del numero di ore lavorative (passaggio da full time a part time), nell’autunno 2016 si vede contestare da Conateco la qualità del suo lavoro. «Mi dicono che vado piano, che non lavoro, che non posso stare agli sportelli». Laura è una videoterminalista, il suo compito è quello di documentare l’ingresso dei container per l’import/export, di fatto un ponte tra la città e il resto del mondo. Le movimentazioni quotidiane sono oltre centocinquanta, sotto pressione, con tempi stretti, le insistenze a velocizzare da parte dei camionisti e dei capi aziendali. Il tutto in condizioni igieniche e di sicurezza – ma questo è un problema comune a tutti quelli che lavorano in Conateco e Soteco, come dimostra un dossier consegnato in prefettura la scorsa estate – che definire precarie è un eufemismo (un esempio su tutti: è all’ordine del giorno l’acqua che cade copiosa sui pc e telefoni durante le giornate di pioggia).
Il presidio si muove, avvicinandosi al varco di ingesso della compagnia. I vigilantes però hanno chiuso i cancelli, indispettendo i camionisti in bilico tra il solidarizzare con i lavoratori in corteo e la necessità di affrettare i tempi. Qualcuno tra gli autisti si improvvisa stratega: «Andate a bloccare dall’altro lato, che ci sta pure l’autostrada», tradendo la priorità di portare a termine il proprio lavoro di scarico, in una giornata che si preannuncia per molti ancora lunghissima. I lavoratori rimangono davanti ai cancelli per un po’, per poi dirigersi davanti all’altro gate di ingresso, quello Soteco, dove ad attenderli, assieme ai vigilantes, c’è una mezza dozzina di agenti della Digos, di cui almeno un paio in tenuta balneare. La polizia però osserva più o meno da lontano, e gli interventi al megafono, e il volantinaggio, ricominciano.
Intanto Laura continua a raccontare la sua storia. «Dopo sette mesi di mobbing, umiliazioni, derisioni, cassa integrazione, nel marzo 2017 mi arriva una lettera di contestazione formale in cui mi si dice, tra le altre cose, che con il mio modo di lavorare “danneggio l’immagine dell’azienda”. Poi succede che mi assento per due settimane, per una broncopolmonite regolarmente certificata. Torno a lavoro di venerdì, e il sabato mattina mi arriva a casa la lettera di licenziamento in tronco, senza motivazioni». Laura si trova ad affrontare la lotta da sola: la Cgil infatti si sfila rapidamente dalla contesa, rifiutandosi persino di esercitare l’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, che permetterebbe di contestare all’azienda una condotta antisindacale. Dopo qualche settimana Laura rifiuta la proposta di conciliazione dei “tagliateste” di Conateco (appena venti mensilità) e procede per vie giudiziarie. Il 28 dicembre vince il primo grado; l’azienda presenta ricorso in appello ma il giudice dà ancora ragione alla lavoratrice. A inizio maggio viene reintegrata, anche se l’azienda sembra essere pronta in questi giorni a tornare alla carica con un nuovo licenziamento, per non idoneità al servizio (Laura è invalida al 67%).
Naturalmente tanto di lei, quanto degli altri quattordici che hanno vinto il primo grado, Conateco e Soteco preferiscono fare a meno, pagandogli lo stipendio ma non convocandoli a lavorare, cercando di limitare al massimo i contatti con gli altri lavoratori. Quando a fine turno però alcuni operai escono dai cancelli, si avvicinano ai manifestanti per salutare i loro colleghi. Giusto un cenno di intesa, una stretta di mano, tre parole di incoraggiamento e poi via, lasciandosi alle spalle il ponte della tangenziale, e gli occhi attenti e osservatori della Digos e soprattutto dei vigilantes aziendali. Intanto sono passate le cinque, e il sole continua a non dar tregua, infuocando le pareti dei container multicolore senza far differenza tra chi arriva e chi parte. (riccardo rosa)