Sono passati poco più di trecentociqnuanta giorni dall’ultimo appuntamento di Scarlatti Contemporanea dedicato alla sonorizzazione di film muti: lo scorso 25 ottobre 2017 presso il cinema Astra, a Edison Studio fu affidato l’onere di sonorizzare in tempo reale La corazzata Potemikin, lavoro di Ėjzenštejn del 1925, aprendo questa suggestiva operazione di valorizzazione e divulgazione della storia del cinema. Nell’anno del centenario dell’associazione, il ciclo di Scarlatti Contemporanea, anticipando la fitta stagione concertistica presso il teatro Sannazzaro, omaggia la città a partire da alcuni momenti della sua storia musicale e non solo. Tra il ricordo e gli onori ai compositori Francesco d’Avalos (mercoledì 3 ottobre) e Roberto De Simone (mercoledì 10 ottobre) al conservatorio San Pietro a Majella, si inserisce infatti la proiezione e sonorizzazione in tempo reale affidata ai Virtuosi di San Martino di Vedi Napule e po’ mori! (1924) per la regia di Eugenio Perego, in quella sala cinematografica-palinsesto che è l’Hart di via Crispi.
La prima domenica di ottobre è relativamente soleggiata, dopo le secchiate d’acqua del sabato. In città regna la quiete, interrotta solo dai due squilli di tromba siglati da Ounas e Insigne. Percorriamo così una via Toledo, e una via Chiaia poi, non troppo affollate per via del richiamo del campionato. In giro le vetrine profumano di cambio di stagione mentre la gastronomia portatile correda molti di una protesi calorica. La strada verso l’Hart è silenziosa, spazzata semmai dal rombo dei motori dei facoltosi in giro automobilistico domenicale. Arriviamo in orario a riscaldare le poltrone di questo cinema che è una voluta eccezione. Il pubblico è variegato, fatto di pasionari della Scarlatti e curiosi dell’ultimo minuto. Il richiamo dei virtuosi di San Martino esercita attrazione su spettatori non troppo devoti alla musica colta, eppure disposti ad accogliere l’esercizio della composizione musicale come spazio creativo nella contemporaneità.
Carmine Ianniciello (violino), Federico Odling (violoncello), Vittorio Ricciardi (flauto), Carmine Terracciano (chitarra) riadattano una composizione dello stesso Odling, che aveva trovato spazio nel programma del festival Echoes of Parthenope, dedicato al cinema muto napoletano e tenutosi a Francoforte nel dicembre 2017 (a cura della stessa Simona Frasca cui si deve la riproposizione in città di questo lavoro). Il film diventa l’occasione per affrontare in sala l’audiovisione di un muto – occasione decisamente rara – partenopeo degli anni Venti, nato grazie all’iniziativa di colui che sarà poi a guida della Titanus dal 1928, Gustavo Lombardo. La ricostruzione del contesto storico-culturale è affidata alle parole di Anna Masecchia, docente di Storia del cinema presso la Federico II. L’intuizione di Lombardo sta nel rilanciare il cinema attraverso una tradizione spettacolare locale, che propone eventi in qualche modo multimediali: una sorta di archeologia dello spettacolo fruibile nelle sue diverse forme. All’epoca, funzionava come momento di aggregazione identitaria e popolare: in scena è il tema dell’emigrazione verso gli States, mentre la protagonista Pupatella incarna una napoletanità positiva, forte della dimensione metacinematografica. Un cinema rilanciato su una dimensione internazionale, che si snoda su tre punti: emigrazione (è un film rivolto ai connazionali oltreoceano); multimedialità diffusa (grazie alla presenza di “karaoke”, laddove tra le didascalie compaiono i versi di canzoni come Santa Lucia Luntana); infine la rappresentazione di una Napoli stereotipata e positiva, non lontana dal markeeting mediatico che si fa ancora della città.
Un cinema muto ma non sordo: così viene inteso anche dal compositore, che lascia respirare le immagini con forti silenzi che incoraggiano i movimenti della scena, rifuggendo dalla funzione empatica di cui si avvale la musica segnando il suo valore aggiunto a mano della sua assenza. Così il lavoro di composizione è efficace, fresche sono le frasi che calcano la segmentazione della faccenda, suggestiva la minima eppure precisa direzione del quartetto. Meno efficace è l’intervento della voce di Roberto del Gaudio, che interviene sulla Napoli di Piedigrotta facendo ricorso a un vocabolario futurista, dalle inclinazioni ridondanti, servendosi da un lato dei suoni di una tastiera digitale, dall’altro di campioni un po’ troppo artificiali, che stridono con la dimensione fino a quel momento acustica. La voco-centricità del finale porta in sostanza in scena la massa come ornamento sonoro, didascalizzando il tutto. La parola fine chiude ogni gesto performativo permettendo al pubblico di riscattarsi nell’applauso finale. (antonio mastrogiacomo)