Mazzarri non mi è mai piaciuto. Gli riconosco delle grandi capacità tecniche, non mi nascondo: è molto attento al lavoro tattico, e in particolar modo a quello difensivo; riesce a tirar fuori il meglio dalla maggior parte dei calciatori che allena; è capace di rilanciarne altri nel momento in cui questi paiono non aver più niente da dare; ha una filosofia di gioco chiara e coerente, che piaccia o meno.
Quando arrivò a Napoli avevo ancora nelle orecchie le interviste post-partita di alcuni match giocati dagli azzurri contro la Reggina, con altrettante polemiche create ad arte per nascondere le prestazioni negative della propria squadra. Un atteggiamento piagnucolone che Mazzarri ha mantenuto a Napoli, e che ha ereditato (mi costa dirlo) dal suo maestro Ulivieri, tecnico tanto bravo quanto sfortunato, ma che ha sempre avuto una certa tendenza a piangersi addosso. Mazzarri, però, nonostante a differenza del suo mentore stia allenando da almeno tre anni una squadra di vertice, sta scoprendo davanti agli avversari italiani e internazionali una mentalità tutt’altro che vincente. Nelle orecchie, su tutte, ho ancora la conferenza stampa precedente alla finale di coppa con la Juve, in cui Mazzarri, più che caricare i suoi, continuava a nascondersi dietro frasi scialbe e mortificanti del tipo «i favoriti sono loro», «per batterli dovremmo fare la partita della vita», e così via.
Le mancanze di Mazzarri nel corso di questi anni si sono manifestate per la maggior parte in campo europeo, soprattutto nella gestione di quell’insopportabile rituale che è il turnover. Già due anni fa, il Napoli aveva rischiato di non passare un abbordabile girone di coppa Uefa, a causa del massiccio impiego delle riserve che il tecnico continuava a schierare, tanto in casa quanto in trasferte delicate come quelle di Bucarest e Utrecht. Solo grazie a un paio di gol a tempo scaduto o quasi, sempre da parte dei subentrati titolari, gli azzurri riuscirono poi a conquistare la qualificazione. Dopo la parentesi Champions dello scorso anno, la storia si ripete. Ieri erano Cribari, Sosa e Vitale, oggi altri calciatori non migliori di quelli. Un allenatore che guida una squadra che da ormai diversi anni partecipa alle competizioni europee, dovrebbe sapere, però, che il turnover è una risorsa se effettuato in maniera intelligente, inserendo tre, quattro, massimo cinque rincalzi nella squadra tipo, per far rifiatare i calciatori più affidabili ma anche più stanchi.
Prendiamo le altre partite delle italiane di oggi. L’Inter è andata a giocare a Baku (non a Madrid) con i titolari Handanovic, Cambiasso, Juan Jesus, Guarin e Pereira. La Lazio ha affrontato il Maribor (non il Manchester) schierando dal primo minuto Konko, Dias, Candreva, Hernanes ed Ederson. L’Udinese ha fatto visita al Liverpool (vincendo: impresa storica) mandando in campo l’intero undici titolare. A snobbare la coppa Uefa, insomma, o a sottovalutare l’impegno gestendo ancora una volta male la rosa, ci ha pensato il Napoli, mettendo in campo una squadra allo sbando, i cui calciatori avevano giocato una sola volta insieme, mal figurando contro una squadra quasi dilettantistica come l’AIK. In quel caso, però, la tripletta di Vargas, totalmente regalata dal portiere avversario, aveva suscitato i soliti facili entusiasmi, mascherando la prestazione insufficiente del Napoli.
È così che i tifosi a casa, e ancor di più i mille temerari che avevano accompagnato la squadra in Olanda, hanno dovuto sorbirsi, nell’ordine: un difensore centrale, Fernandez, che è probabilmente il più lento e il meno reattivo che la scuola argentina (che non ha mai regalato fulmini di guerra dai suoi reparti arretrati) abbia mai sfornato; due ex giocatori come Dossena e Mesto a ciondolare sulle fasce; un regista o presunto tale come Dzemaili, che riesce nell’impresa, nell’arco dei novanta minuti, di sbagliare più controlli di quanti non ne azzecchi; un giovane come El Kaddouri che gioca come un quarantenne, ma non per personalità, quanto per lentezza e indisponibilità al sacrificio. Per non parlare poi dei due veri mattatori della partita: il centrocampista Donadel, che continua a essere proposto su palcoscenici europei, mentre faticherebbe a trovare spazio in una squadra di media classifica in serie B; e lo scriteriato Vargas, un calciatore che in un anno o poco meno di Napoli non ha mai non dico visto la porta (fatta eccezione della tripletta di cui sopra) ma nemmeno mai fatto un dribbling o una giocata positiva.
In questo scenario, è chiaro che le colpe non sono solo di Mazzarri, ma anche di chi ha portato a Napoli questi calciatori, ovvero Riccardino Bigon, che prova ad accreditarsi come enfant prodige della dirigenza calcistica nazionale, ma che in due anni e mezzo di Napoli avrà centrato uno o due colpi (pagandoli a caro prezzo, vedi Inler); e poi del presidente De Laurentiis, che avrà si il merito di aver costruito una squadra capace di lottare (non di vincerlo, a mio modesto parere) per lo scudetto, ma anche di avere un atteggiamento totalmente sbagliato nei confronti delle competizioni europee. Per la Champions, che porta denari sonanti in cassa, il Napoli ha sacrificato lo scorso anno il campionato, raccogliendo assai meno di quanto avrebbe potuto. Per la Uefa invece, competizione gloriosa ma economicamente poco fruttuosa, il presidente ha sempre mostrato scarso interesse, consigliando (o forse imponendo?) al tecnico scelte come quelle che hanno portato alla disfatta olandese.
Certo, se il Napoli dovesse coronare il sogno di vincere lo scudetto, allora De Laurentiis e Mazzarri potranno dire di aver avuto ragione. Restano però due immagini sconsolanti. La prima è quella della scioltezza, della facilità con cui i calciatori del PSV hanno affrontato il match contro gli azzurri, rilassandosi e abbandonando qualsiasi agonismo nel secondo tempo, quasi scherzando tra loro a ogni azione. La seconda riguarda la gente che continua a seguire la squadra in queste lunghe, spesso costosissime trasferte di Europa League. In una città che non naviga certo nell’oro, sarebbe bello regalare a chi spende una cifra importante per seguire la squadra, non dico necessariamente una vittoria, ma quanto meno un atteggiamento rispettoso: dai giocatori in campo, che dovrebbero sempre ricordarsi chi sono e cosa stanno facendo, ma anche da parte di chi ha la faccia tosta di schierare in campo, davanti a questi stessi tifosi, una formazione che per valori tecnici e agonistici, si può senza indugio definire vergognosa. (riccardo rosa)
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