Continua a destare perplessità e polemiche la struttura di riabilitazione psichiatrica da quaranta posti inaugurata dalla Asl Napoli 2 nord ad Arzano. Successivamente all’articolo pubblicato su questo sito, in cui si descriveva come luogo di esclusione e isolamento destinato a diventare l’ennesimo contenitore post-manicomiale, da più parti, con documenti e interventi, si sono avanzate profonde critiche al modello che Regione e Asl hanno scelto di perseguire. In un appello sottoscritto, tra gli altri, da Psichiatria Democratica, Unasam, Medicina Democratica, Airsam, Associazione Diritti alla Follia, Federconsumatori Campania, Ex Opg Je So Pazzo, si legge: “L’aver deciso […] che una struttura pensata e realizzata per ospitare ben quaranta persone potesse concretamente farsi carico del disagio degli utenti contrasta, in maniera stridente, con quanto le esperienze territoriali hanno dimostrato a far data dal 1978 […] questo tipo di impostazione “tecnica” che renderà, inevitabilmente, la palazzina non un luogo attraversato dalla vita ma soltanto una neo-concentrazione di persone, è anche il frutto di una logica individualista, di un mancato confronto dei responsabili del settore con quanti, in regione, da anni sono impegnati su questo non facile terreno”.
Commenti duri anche sui post rimbalzati sui social network. Antonio Mancini, allievo di Sergio Piro, ha scritto: “Una struttura psichiatrica con quaranta posti letto […] è un oltraggio e una ferita irrimediabile. Internamento manicomiale come unica risposta alla sofferenza di tante persone e dei loro familiari. Tutti gli psichiatri che hanno dato una mano alla costruzione di questo progetto, tutti quelli che tacciono, sono conniventi e responsabili di un crimine contro l’umanità”.
Duro anche Angelo Righetti, psichiatra che in provincia di Caserta ha introdotto la metodologia dei budget di salute, alternativa a questa logica di ricovero in strutture destinate, secondo l’Asl, ad allontanare le persone dal loro contesto di vita: “L’apertura di un nuovo manicomio a scartamento ridotto trasgredendo leggi, ordinamenti, conoscenze scientifiche e buon senso, facendolo passare per una sartoria di eccellenza unica in Italia, è poco più di una tragica barzelletta […]. Spacciare infine per percorso personalizzato di cura quaranta posti letto per la cronicità sartoriale in una regione che sui percorsi personalizzati di cura ha innovato il concetto della salute e fatto scuola in Europa è come darsi un pugno in faccia pensando di darlo agli altri”.
Un’altra stroncatura è arrivata da uno dei padri della psichiatria basagliana, Franco Rotelli, col quale il direttore del Dipartimento di salute mentale della Napoli 2 nord, Walter Di Munzio, tra gli artefici di questo progetto residenziale, pure ha condiviso idee, percorsi e perfino la foto di copertina del suo profilo Facebook. Concludendo un incontro sui budget di salute organizzato dal Forum salute mentale, Rotelli, riprendendo una sollecitazione di chi scrive, ha detto: «È veramente incomprensibile il comportamento dei dirigenti della Napoli 2 nel mettere in piedi una cosa stupida come questo centro che è veramente una caricatura di tutto ciò che non andrebbe fatto».
Chi invece ha provato a difendere questa struttura, ha messo in campo argomentazioni che non sono riuscite a smussare le critiche. La struttura servirebbe a contenere il predominio del privato nel settore della riabilitazione psichiatrica, ci saranno progetti personalizzati e limitati nel tempo, i quaranta posti alla fine non sarebbero occupati tutti contemporaneamente, i tecnici della riabilitazione psichiatrica garantirebbero un intervento specialistico ma non psichiatrizzato.
In realtà, esistono possibilità e modelli di intervento alternativi alla riproposizione di contenitori che una volta creati vengono poi puntualmente riempiti. Teresa Capacchione, presidente dell’Associazione Sergio Piro, sul suo profilo Fb, ha scritto: “La storia ci ha insegnato che gli ‘assembramenti’ in psichiatria si trasformano in manicomi […]. Il privato non si sconfigge sostituendo a esso strutture che perseguono la stessa logica, se pur agendo nel pubblico, ma operando una riconversione a trecentosessanta gradi dove le politiche di inserimento sociale sono discusse insieme a tutti gli attori presenti sulla scena”.
Inoltre, come sottolineato anche da Gisella Trincas, portavoce dell’Unasam, l’associazione dei familiari di persone con sofferenza psichica, questa tipologia di strutture ha costi di gestione molto alti, insostenibili nel lungo periodo, sicché, spesso, dopo qualche anno, il soggetto pubblico finisce con l’affidarli, in appalto, allo stesso privato della riabilitazione. Ancora, la scelta operata, sacrificando quella multidisciplinarietà dell’équipe che pure sarebbe necessaria, sembra realizzata più per trovare posti di lavoro nel comparto pubblico ai tecnici della riabilitazione psichiatrica che per affrontare le complesse necessità di cura delle persone fragili, alle quali, tra l’altro, dovrebbero essere garantiti percorsi di valorizzazione delle capacità personali e, dove possibile, di inserimento lavorativo, non certo laboratori di ceramica e pittura o progetti ergo-terapici senza diritti e salario.
Nel 1987, lo stesso Di Munzio scriveva con Sergio Piro il libro Sopra la panca. Storia senza conclusione di follia, manicomi e riforme in Campania, in cui tracciavano la strada che avrebbe dovuto seguire l’assistenza psichiatrica in Campania: “Il paziente e la sua famiglia – scrivevano – possono in tutti i momenti accedere al Servizio; il paziente può ricevere un trattamento psicologico e/o riabilitativo sistematico; può frequentare l’intero giorno le strutture comunitarie di sede; può usufruire di interventi poli-focali (trattamenti di tipo medico-sociale e psicologico differenziati tra loro e complementarizzati; oppure: sul singolo e sulla sua famiglia, sul suo ambiente di vita, ecc.); quando è in crisi può essere curato a casa istituendosi lì per qualche giorno un servizio infermieristico 24 ore su 24 e una fitta presenza medica e psicoterapeutica, oppure può essere accolto in un piccolo Centro-crisi nella sede del servizio, senza dover finire nei servizi psichiatrici ospedalieri […]; per quelle persone che hanno superato l’emergenza ma non possono ancora ritornare a casa o per quelle persone per cui è consigliabile un distacco dalla famiglia, vi è una piccola comunità alloggio nella sede del servizio, in cui il paziente trova una stanza, una sistemazione alberghiera, altre persone ospiti e una vicinanza dell’équipe; se il paziente era stato danneggiato dalla permanenza nel manicomio, il trattamento riabilitativo, la terapia linguistica e tutte le forme di terapia espressiva, il recupero dei talenti personali vengono opportunamente adottati […]. Per tutto questo occorre una équipe a molte professionalità confluenti, amalgamata da una formazione dialettica, riflessiva, critica e agoica peculiare, ben diversa dalla povertà dei training privati. Tutto questo avrà come conseguenza un mutamento radicale nel campo: scienza, operatività, didattica nuove, ben più ampie e articolate delle precedenti. Questo nuovo strumento per le psicosi ‘maggiori’ non è descritto nelle favole o nelle utopie ma è prescritto, per la Campania, dalla Legge regionale n. 1 del 3 gennaio 1983”.
Non sappiamo cosa abbia portato dalla condivisione di queste riflessioni, del processo di dismissione dei manicomi, dei principi sanciti dalla legge regionale 1/1983, all’idea di nuove “residenze contenitore”. Sappiamo, però, che pure a fronte della promessa elettorale di De Luca di costruire altre due strutture come questa, a scapito di investimenti in percorsi di autonomia e capacitazione individuale, quanto si è determinato rappresenta il tradimento – profondo, radicale, tragico – di un’eredità importante, di idee e di ideali, di progetti e di principi normativi. Non certo l’unico, come dimostra lo stato in cui sono ridotti i servizi psichiatrici regionali. Così il dubbio, oggi, è che questa residenza sia solo il prodotto maturo di un percorso iniziato anni fa. (antonio esposito)
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