Striscioni, volantini, o scritte sui muri, il refrain è sempre quello: “Non abbonarti! non tesserarti!”. Come da due anni a questa parte, anche durante questa calda estate in giro per la città sono comparsi inviti eloquenti a non sottoscrivere l’abbonamento per la nuova stagione calcistica. La ragione è nota quanto controversa, dal momento che la tessera che permette ai tifosi di acquistare a inizio anno un posto per tutte le partite del campionato, è legata alla sottoscrizione di un’altra tessera, la famigerata tessera del tifoso, istituita dal ministro Maroni per combattere il fenomeno del tifo violento. L’estate scorsa, il primo anno in cui la sottoscrizione della tessera era obbligatoria per potersi abbonare, le proteste si sono sollevate in tutta Italia, anche se la maggior parte delle tifoserie organizzate (Milan, Inter e Juve in testa) alla fine hanno deciso di cedere.
A Napoli, invece, come in poche altre città d’Italia, le cose sono andate diversamente. I gruppi organizzati della curva A e della curva B hanno deciso di non tesserarsi, anzi hanno messo in atto una dura campagna anti-tessera, provando a spiegare il proprio punto di vista, e riuscendo a convincere tante persone a non abbonarsi. La tessera, dicono, limita le libertà del tifoso: «Soltanto chi ha la tessera può sottoscrivere l’abbonamento, per esempio, e soltanto chi ha la tessera può seguire la squadra in trasferta. In più la tessera è un pericoloso strumento di controllo, perché ha all’interno un microchip simile a quello delle carte telefoniche ricaricabili».
Chi mette piede al San Paolo domenica dopo domenica, non può non aver notato come, negli ultimi anni, la vita all’interno dello stadio sia molto cambiata. Già durante i governi Berlusconi e Prodi, i ministri Pisanu e Amato avevano dichiarato guerra agli ultras, attraverso provvedimenti come il biglietto nominale e altre misure di presunta sicurezza, che non hanno minimamente inciso ma hanno invece creato problemi concreti a chi desidera frequentare lo stadio. A chi, per esempio, oggi non può decidere di comprare un biglietto poco prima di una partita, non può acquistare biglietti per conto di altri (c’è una limitazione a due tagliandi per ogni persona) e soprattutto non può farlo se non comunicando le proprie generalità.
Era inevitabile, però, che provvedimenti di questo genere influissero non poco nella vita di chi in curva ci va da anni, a cominciare dai ragazzi dei gruppi organizzati. All’improvviso, per gli ultras, niente più trasferte, persino niente più bandiere o vessilli (i provvedimenti limitano anche l’introduzione allo stadio di questo materiale, indipendentemente dal fatto che a portarli siano tifosi organizzati, o padri e figli desiderosi di vedere la partita, alla faccia del ritornello ministeriale sul desiderio di “incoraggiare la presenza delle famiglie allo stadio”). Senza contare il problema delle diffide, un provvedimento che tra le altre cose elimina il concetto di presunzione di innocenza, impedendo a chi è in attesa di giudizio di mettere piede, a effetto immediato dalla notifica, in uno stadio. Diffide cadute a pioggia negli ultimi anni, per incidenti, scontri tra tifosi e con la polizia, ma anche per possesso di materiale artificiale come fuochi e fumogeni, e che hanno decimato la maggior parte dei gruppi in tutta Italia.
L’impressione, però, è che oltre alla quotidianità, anche dal punto di vista dei contenuti il movimento sia molto cambiato, a Napoli come altrove. Le diverse aree “controculturali” che lo avevano costituito, come espressione delle culture giovanili negli anni Settanta e Ottanta (gli skin, i mods, e poi successivamente i casual) si sono ridotte a mere categorie di abbigliamento, parallelamente con la scomparsa quasi totale di questi movimenti dalla scena sociale. Di conseguenza, facile è stato per i media imporre lo stereotipo del marcantonio-palestrato-fascistoide-testarasata-anfibioecoltello, oggi difficilmente scardinabile per chi la curva non la frequenta. Allo stesso tempo, anche i messaggi più o meno discutibili – i concetti di appartenenza e fratellanza, mentalità e onore, difesa a qualunque costo del proprio territorio, scontro leale e senza “lame” – non sempre sono rintracciabili nelle idee e nei comportamenti delle “nuove leve”, spesso spinte ad avvicinarsi al mondo ultras più per spirito di imitazione che per reale coincidenza con un certo stile di vita, o modo di intendere il calcio e lo stadio.
A questo punto non è facile sapere quali saranno le novità dei prossimi anni. La linea adottata difficilmente sarà abbandonata dai prossimi governi, anzi. Una serie di concause (controllo degli incidenti; tutela degli interessi economici delle grandi televisioni a pagamento; necessità di un progressivo smantellamento degli stadi attuali, della loro acquisizione da parte delle società e della costruzione di nuovi impianti con un minor numero di posti) suggeriscono che la lotta al tifo organizzato sarà ancora più dura, e non avrà luogo solo sul terreno dello scontro a viso aperto, ma proverà ad avvalersi anche di strumenti sotterranei, come quelli economici o con il tentativo di emarginazione da parte del resto dello stadio.
A Napoli, è difficile spiegare come mai, le cose stanno andando, almeno in parte, diversamente: nonostante i successi della squadra, il numero degli abbonamenti (di nuovo in crescita quest’anno, ma comunque non esploso) stenta a rappresentare la passione che coinvolge la città in questi ultimi anni. Tanti ragazzi – qualcuno perché informato, altri perché spinti a seguire i personaggi carismatici che “guidano” le curve – hanno dichiarato una guerra personale a Maroni e alla sua tessera, e in occasione dello scorso campionato hanno preferito acquistare i biglietti partita dopo partita, piuttosto che abbonarsi, spendendo una cifra di molto superiore a quella che avrebbero speso altrimenti; qualcun altro ancora, che ha rifiutato di tesserarsi ma non è in condizione di sborsare cifre del genere (si parla di prezzi tra i dieci e venti euro a partita) seguirà forse solo le gare della Champions League, competizione a cui il Napoli tornerà a partecipare dopo venti anni, e per la quale non ci sono regolamenti così rigidi, da questo punto di vista.
È difficile, insomma, pronosticare un futuro roseo, o forse semplicemente un futuro per quel che già oggi resta del movimento. L’impressione è che, come accaduto agli hooligans inglesi, imbrigliati in casa propria dalle leggi tatcheriane ma liberi di vivere il calcio a modo loro nel continente, agli ultras napoletani non resterà, tra qualche anno, che l’Europa. Quella che i più vecchi tra loro hanno assaporato, tra viaggi diventati leggenda e le giocate di Maradona e Careca, e che i giovani si apprestano a scoprire, con un po’ di emozione e tanta adrenalina. Inghilterra, Germania, Europa dell’est: lì non c’è tessera che tenga, e tra il vagone di un treno, il freddo di un paese del nord, una birra, un fumogeno e magari una scazzottata, sembrerà di essere tornati indietro nel tempo. God bless football. (riccardo rosa)