Di quel 9 maggio del 1940 mi ritrovai a parlare la scorsa primavera con due persone che lo avevano vissuto da protagonisti. Entrambi ricordavano come fosse una giornata molto calda e umida. Uno dei due all’epoca era un bambino, e forse non riusciva a cogliere bene cosa stesse accadendo attorno a sé. Come gli altri suoi coetanei era felice e un po’ spaesato, ma ricorda bene la pacca sulla spalla ricevuta da Mussolini. L’altra era una giovanissima istitutrice, e come gli altri adulti, con la solennità che il regime chiedeva, ascoltava le voci e le parole con un orgoglio forse per una volta opportuno. Quel giorno a Bagnoli si inaugurava il collegio Costanzo Ciano, una immensa struttura che il Banco di Napoli aveva fatto costruire per il suo quarto centenario. Al suo interno avrebbero dovuto essere ospitati duemilacinquecento bambini della “città in difficoltà” (povera, probabilmente, era una parola troppo forte per essere resa ufficiale), tanto che qualcuno nelle stanze importanti già la chiamava “La casa degli scugnizzi”. Diciotto grandi fabbricati, uno stadio, due palestre e i dormitori; e poi il teatro, la chiesa, i campi di gioco, e anche vigneti e frutteti, parto naturale di un terreno fertile e produttivo.
Pare ci sia ancora, all’interno di quell’immensa struttura che da anni non appartiene più alla città, una vecchia pietra tombale, con un’iscrizione in latino. Quella pietra racconta di un’antica e piccola parrocchia, (per i contadini “‘a chiesa ‘e San Lavìse”), dove il parroco di Bagnoli officiava le funzioni religiose tra la gente della zona. È difficile confermarlo, perché quella pietra oggi si trova al di là di una rete, alla destra di un filo spinato che separa quello che fu per breve tempo il collegio Ciano dalla città. Ammesso che alla città sia mai appartenuto.
Poche settimane dopo l’inaugurazione, infatti, l’Italia entrò in guerra, e il collegio fu utilizzato per ospitare le truppe italo-tedesche prima, e quelle anglo-americane poi. Finita la guerra, gli equilibri politici dei blocchi lo consegnarono al Comando supremo della Nato, che dal 1952 versa un canone annuo alla Fondazione Banco Napoli (proprietaria dei suoli), che a sua volta ne utilizza una parte per attività a favore dell’infanzia abbandonata. In altre sedi e con l’aiuto di altri istituti, però, perché il collegio oggi è tutt’altro: sono passati sessant’anni, e i militari sono ancora lì. Una variante al piano regolatore del ‘96 stabilisce che quel luogo venga restituito alla città, e pare che le operazioni di smobilitazione siano già cominciate. Niente più filo spinato, presidi militari e fucili puntati a protezione dell’ingresso, a creare una zona franca nel bel mezzo di Saint Laise, Bagnoli. È questo nome francese, un po’ aristocratico e un po’ misterioso, che nasconde alle spalle dell’ex collegio, e nei pressi di quel campetto di calcio che tutti nel quartiere conoscono come “’o campo d’e romane”, una collina ancora coltivata a frutta e broccoli, zucche, viti e patate.
C’è stato un tempo, prima del collegio, che a Saint Laise vivevano più di venti gruppi familiari di contadini. Le poche testimonianze raccontano di una enorme masseria a forma di ferro di cavallo, di terra, vacche, vitelli e conigli. Quando il governo espropriò i terreni dove sarebbe sorto poi il Ciano, ne rimasero meno della metà, rintanati in una fascia di terra aliena alla città, quasi quanto il dirimpettaio complesso divenuto esilio dorato per Yankees di ieri e oggi. Ma nonostante la città di quelle zappe e quelle fave, di quei conigli e quella stradina, così vicina alla metropolitana di Bagnoli, non sappia nulla, quella storia è andata avanti, anche senza di lei. È andata avanti attraverso il fitto dei terreni, anche dopo la fuga dell’antica proprietà, quella contessa Maria Salluzzo di Corigliano (discendente diretta del duca che rimise a nuovo l’antico palazzo di piazza San Domenico Maggiore, semidistrutto dal terremoto del 1688) che vendette tutto a una società immobiliare con sede a Milano.
È andata avanti ignorante e ignorata fino a oggi, quando in maniera più forte che negli ultimi due decenni, i passaggi di proprietà hanno reso la collina oggetto di concrete mire speculative, e la società attualmente in possesso dei terreni ha già recapitato a una buona parte dei contadini i provvedimenti di sfratto. Saint Laise, a pochi passi dal mare, stretta tra Pozzuoli e Agnano, potrebbe essere una fonte importante di guadagno per chi dovesse avere intenzione di sfruttarla, costruendo magari un agriturismo, un oasi a pagamento di verde e di pace, nel centro della città. Tutto questo, ovviamente, a scapito di quei contadini che da generazioni (loro, o le loro famiglie) coltivano quei terreni, e vivono preservando come custodi di un tempio naturale, un territorio che non sarà mai troppo tardi per conoscere.
Per provare a evitare tutto ciò, da due fine settimana, un folto gruppo di cittadini della decima municipalità si da appuntamento sui terreni della collina. Sono state organizzate alcune assemblee che hanno descritto la criticità della situazione, si è parlato con i contadini, e con loro si è organizzato lo scorso sabato un pranzo sociale. La prossima domenica il gruppo passerà all’azione, sempre con l’aiuto dei coloni, per cominciare a mettere in coltura i terreni incolti della zona. L’obiettivo è la sensibilizzazione di un numero sempre maggiore di cittadini sui rischi che Saint Laise e i suoi abitanti corrono (anche tramite l’apertura dell’area a percorsi didattici da svolgere con le scuole), e una presenza costante di persone pronte a lavorare anche su un progetto capace di far si – nel momento dell’abbandono dell’ex collegio Ciano da parte dei militari Nato – che l’area dell’ex collegio possa essere riportata alla sua funzione originaria: quella di un villaggio per i bambini della città e non solo.
L’appuntamento è stato lanciato quindi per domenica 4 novembre, a partire dalle 9.00, «solo se dotati di tanta buona volontà!». Perchè come ci si ricordava, dopo i saluti, scendendo lungo il sentiero: «Qui non servono grandi idee. Si deve solo impugnare la zappa». (riccardo rosa)
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