Fotogalleria di Giuseppe Riccardi e Mattia Tarantino*
Camicia blu con pois grigi, pantalone beige e borsello, l’uomo sulla quarantina che si aggirava un po’ spaesato per piazza Plebiscito, coprendosi il volto con una mascherina bianco-rosso-verde, ha dato a tutti l’impressione di aver sbagliato manifestazione: il gruppo di una cinquantina di neofascisti appartenenti a varie sigle, riunitisi in varie città d’Italia indossando una mascherina tricolore per cantare l’inno nazionale e blaterare slogan contro il governo, aveva scelto infatti come luogo della propria adunanza napoletana la rotonda Diaz, e già dalle 17 il grottesco spettacolo era andato in scena davanti a uno spropositato schieramento di forze di polizia. Quando al termine dell’intervento di un attivista con megafono, invece, l’uomo in camicia a pallini si è espresso con un lungo applauso, i manifestanti si sono finalmente convinti che la mascherina patriottica fosse solo una coincidenza, e che il signore si era recato di proposito a piazza Plebiscito per partecipare all’assemblea.
Nella più importante piazza della città, ieri pomeriggio, sono passate circa cinquecento persone, per quella che le Reti sociali nell’emergenza Covid hanno convocato come “la prima assemblea pubblica della città di Napoli” dopo la quarantena. L’assemblea è stata preceduta da un flash-mob dei lavoratori della cultura e dello spettacolo che, così come in altre dodici città d’Italia, hanno proclamato lo stato di agitazione denunciando l’indifferenza del governo alle molteplici richieste di incontro. Nella loro piattaforma rivendicano un reddito di continuità che li sostenga fino alla ripresa delle attività, un tavolo tecnico-istituzionale con sindacati, governo e istituzioni culturali per velocizzare le riaperture e per la tutela sanitaria dei lavoratori e del pubblico; e poi finanziamenti pubblici, strumenti di riforma per la ripartenza in presenza e per una “virtualità sostenibile”.
Alla fine del flash-mob, intorno alle 18,30, è cominciata l’assemblea che avrebbe dovuto raggruppare in quattro tavoli tematici (Reddito e lavoro, Salute e ambiente, Scuola e università, Diritto alla città) “lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, della logistica, comitati per la scuola pubblica e i diritti dei bambini, reti del mutualismo, comitati per la riappropriazione dei parchi, per la difesa della sanità pubblica e dell’ambiente, disoccupati, precari, lavoratori autonomi e braccianti”. L’ambizioso obiettivo, inseguito più volte negli ultimi anni dai gruppi politici cittadini, sembrava stavolta avere premesse importanti nelle mobilitazioni delle ultime settimane e nella situazione di difficoltà che sta portando in strada interi settori sociali della città.
È un dato di fatto, peraltro, che alcune di queste proteste siano nate sulla spinta dell’attivismo di gruppi militanti che, attraverso la creazione di brigate autonome di solidarietà, hanno costruito reti di mutualismo capaci di dare continuità al lavoro politico nei diversi quartieri fornendo risposte più efficaci delle imbarazzanti iniziative del comune di Napoli. Allo stesso tempo gruppi informali, collettivi, centri sociali, sindacati di base hanno sostenuto le rivendicazioni di chi rischia di venire fuori a pezzi da una crisi economica già cominciata, e che durerà a lungo. I lavoratori della cultura e dello spettacolo si sono organizzati in un comitato, seguendo l’input della piattaforma nazionale. I facchini di Teverola e Casoria hanno scioperato per giorni e bloccato la produzione. Lo stesso hanno fatto i lavoratori del porto, gli operai della Jabil di Marcianise e quelli della Whirlpool, protagonisti di vertenze storiche e impossibilitati a mollare proprio ora. In occasione del primo maggio hanno incrociato le braccia i rider delle consegne. Qualche giorno fa decine di famiglie hanno protestato all’esterno della sede centrale dell’Inps per contestare i rigidi parametri di esclusione che impone il Reddito di emergenza (con i disoccupati organizzati e altri cittadini che stanno aderendo alla mobilitazione internazionale sullo sciopero degli affitti). Gli addetti alla sicurezza agli eventi pubblici e gli steward dello stadio San Paolo hanno redatto un documento e si sono riuniti in un comitato. Da oltre un mese, infine, un gruppo di insegnanti, genitori ed educatori sta scendendo in piazza con sit-in, lezioni all’aperto e attività per i più piccoli, per denunciare l’indifferenza del governo nei confronti dell’universo-scuola, reo di non produrre economia e quindi accantonabile pur nelle sue delicate priorità.
Com’era prevedibile, insomma, dopo la fase dei contributi a pioggia e delle agevolazioni per le imprese, le conseguenze dell’epidemia cominciano a gravare sulle fasce di popolazione meno pronte a difendersi. Se è vero però che tante vertenze e mobilitazioni stanno trovando una sponda o almeno un sostegno nei gruppi organizzati, un’iniziativa di piazza come quella di ieri poteva essere l’occasione per far dialogare queste realtà. L’assemblea non è tuttavia riuscita nell’intento di mettere insieme i comitati di mamme e maestri con i facchini della logistica, le reti per il diritto all’abitare con le famiglie che hanno ricevuto i pacchi solidali, e così via. Molti settori non prettamente di movimento non hanno infatti partecipato all’iniziativa, depotenziandola così nella sua capacità di rilanciare la mobilitazione.
Si dibatte spesso nelle reti organizzate sulla necessità di rielaborare il discorso politico in un linguaggio vivo, capace di comunicare ai lavoratori, ai disoccupati, alle fasce di popolazione meno tutelate; sui modi più adatti per rafforzare i rapporti con i settori sociali meno garantiti, con i migranti, con tutti quelli che in questo momento hanno la forza (o la disperazione) di scendere in strada. Sarà fondamentale a questo punto, partendo da quelle relazioni, proporre con coraggio e in maniera chiara un modello di società e di città che è agli antipodi rispetto a quello che ci ha condotto a questa situazione. Un modello che mai come oggi va ribadito con poche e chiare parole d’ordine. La pandemia ha creato la possibilità di ribaltare il tavolo. Bisogna trovare le forze (e il linguaggio) per farlo. (riccardo rosa)
*Le fotografie n. 1, 2, 4, 5, 6, 7, 9 sono di Giuseppe Riccardi; le n. 3, 8 e 10 sono di Mattia Tarantino
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