Sono stati premiati ieri pomeriggio, nel corso della cerimonia finale al teatro Mercadante, i vincitori della sessantaquattresima edizione del Premio Napoli. È stato il presidente della Fondazione, l’avvocato Domenico Ciruzzi, a proclamare i nomi dei primi classificati per le sezioni poesia, narrativa e saggistica. Il momento più significativo è stato però il conferimento di uno dei tre premi speciali, quello che si assegna ai Napoletani Illustri, che quest’anno ha celebrato lo scrittore Maurizio De Giovanni. Visibilmente emozionato, De Giovanni ha ringraziato con un toccante discorso, che pubblichiamo in versione integrale.
«Sono molto contento di ricevere questo premio stasera. Per un umile raccontatore di storie come me, rientrare nel circolo dei Napoletani Illustri, sdoganato dalla giuria di un così importante premio letterario, è veramente importante.
«Se devo essere sincero avevo intuito che qualcosa stesse bollendo in pentola, quando alla fine di ogni puntata dei Bastardi, su Rai1, il presidente Ciruzzi mi chiamava quasi in lacrime, confidandomi di non aver letto nemmeno una riga dei libri che doveva giudicare, tutto preso dalle avventure dei poliziotti di Monte di Dio. “Ansia da prestazione, tranquillo”, provavo a rassicurarlo, ricordandogli dell’infausta trasferta fiorentina del Napoli di Sarri. Quando poi cominciò a inviarmi selfie in cui, in vestaglia e pantofole, mi chiedeva se somigliasse almeno un po’ a Lojacono, ho capito che la mia penna aveva fatto breccia anche nelle smart-tv della Napoli colta.
«Quest’ultima espressione, se devo essere sincero, da qualche anno mi perseguita. Ogni volta che vado a cena da uno dei tanti amici magistrati, avvocati, prof universitari o direttori di giornale, loro provano mettermi a mio agio in nome di questa Napoli colta che non può più permettersi il lusso di snobbare il pop (ma in realtà di snobbare niente, pur di farsi considerare da qualcuno). Mi dicono che le mie storie li hanno aiutati a riconciliarsi con la realtà. Mi dicono con gli occhi lucidi che non si sentono più in dovere di parlare nelle loro cene del giovedì sera sempre di quel libro di La Capria pubblicato cinquant’anni fa, del contributo che potrebbe dare la borghesia alla città, di chiedere di nascosto ai figli adolescenti un riassunto dell’ultima puntata di Report, per poter fingere di averla vista. È bello avere amici così, che mi attribuiscono un potere liberatorio che prima non credevo di avere: quello di aver innalzato di rango la loro futilità, ed essermene fatto vate. È grazie a me che hanno potuto scaricare intellettuali ultraottantenni che si sentivano in dovere di onorare; è grazie a me che sono spariti dalle loro librerie volumi di Domenico Rea che non erano mai riusciti a finire; è grazie a me che possono affermare senza vergogna che se non sei mai andato a farti intervistare da Fazio, non sei un intellettuale, ma un barbone noioso.
«Per quanto riguarda questo premio, devo dire che non è la prima volta che mi danno un premio sottolineando nelle motivazioni che i “tempi sono cambiati”, che non “c’è differenza tra i generi letterari”, che anche il giallo merita la sua dignità autoriale, che si possono scrivere buoni libri anche riproponendo la stessa trama sessanta volte, cambiando solo l’ordine degli omicidi e la responsabilità degli assassinii. “Perché mai tanti discorsi ambigui – mi ha suggerito di citare Pavese un amico, lui sì assai bravo a scrivere, rimasto a lavorare in banca perché troppo pigro per partecipare a tutte quelle presentazioni – buttati con l’edera a nascondere un pozzo, quando tutti sapevamo che di pozzo si trattava?”. In effetti, se me ne fregasse un po’ di queste cose mi sembrerebbe quasi che con ‘ste motivazioni si intendono mettere le mani avanti. Ma ho smesso di pormi queste domande da tempo (in realtà non me le sono mai poste) e quindi prevale la contentezza.
«Vero è che i tempi sono cambiati. Parliamoci chiaro: ma dove stanno più questi grandi scrittori? Dove sono quelle penne capaci di emozionare come quell’odore mattutino di caffè che ti rimane nelle narici per tutta la giornata, come quello stacco di Koulibaly allo Juventus Stadium, come la recitazione di Alessandro Gassman, che non ho remore oggi, qui davanti a voi, a definire il più grande attore cinematografico di tutti i tempi? Non esistono, è questa la verità. E certo non lo sono io, che fino a qualche tempo fa lavoravo in banca, proprio come Sarri, e il mio unico obiettivo era non dover contare più i soldi, ma farli. E allora chiamiamolo pure “giallo”, non è necessario provare a nobilitarlo chiamandolo “noir”; diciamolo pure che è una bestemmia paragonarmi a Simenon, che a quel Maigret sapeva dargli un tocco che magari ce l’avessi io quella verve. Diciamolo pure che questi romanzi vendono perché si possono leggere anche tra gli intervalli di una partita del Napoli, quando il segnale di Dazn salta di continuo… e se questo non mi renderà più un napoletano illustre amen, vorrà dire che non ne sono degno!
«Il presidente Ciruzzi che, amichevolmente, dopo avere partecipato insieme a svariate iniziative mi viene di chiamare Mimmo, e che invito al mio fianco alla prossima puntata di Tiki Taka, vi ha annunciato che il Premio Napoli si candida a organizzare un prossimo Festival del noir. Me ne aveva parlato già qualche settimana fa, quando mi ha telefonato perché non riusciva a rivedere una puntata dei Bastardi, non sapendo che RaiReplay era andato in crash per le troppe visualizzazioni del telefilm sulla Ferrante. “Che palle quella roba, Maurizio! E che cesso quel Rione Luzzatti! Io ho bisogno di quegli scorci del golfo ora, e di qualche indagine da risolvere insieme ai miei Bastardi!”. Sono stato contentissimo, e ho rilanciato dicendogli che se i tempi tecnici organizzativi saranno conciliabili con i miei di scrittura, potrò dare il mio contributo. Entro un anno infatti dovrei aver pubblicato i miei prossimi settantasette romanzi, e l’idea sarebbe quella di un festival lungo una settimana, dove si leggono undici libri al giorno, e a leggerli – ma non ho ancora parlato con Hamsik per chiedergli se gli va – saranno gli undici calciatori del Napoli. Certo, sarà un po’ difficile considerando il turn over di Ancelotti trovare la squadra tipo, ma potremmo regolarci in base al numero di presenze in campionato e non scontentare nessuno.
«Chiudo sottolineando l’orgoglio di aver raggiunto il terzo obiettivo di questi miei ultimi anni, dopo l’andar via da quella dannata banca e il comprarmi una casa: l’aver dato il mio piccolo contributo a far credere che se una cosa piace alla massa, questa diventa bella. Certo, c’è ancora qualcuno scettico nei confronti di quest’equazione, ma di solito se lo tiene per sé questo scetticismo e celebra comunque il mio lavoro: perché le cose, anche non belle, se piacciono alle masse possono far mangiare un po’ tutti. È a questo che penso sempre quando mi lancio nelle mie descrizioni su Napoli, mescolando sempre gli stessi aggettivi che ho appuntato qualche anno fa in una pausa pranzo, sfogliando un libro delle edizioni Intramoenia, e che oggi questo Premio definisce non oleografiche né bozzettistiche. Forse avete torto, cari amici, o forse no, ma è agli altri intellettuali, quei pesantoni di nicchie sconosciute che non finiscono nemmeno su Canale21, che lascio queste discussioni. La mia Napoli vende e si vende, e questa è la sua grande ricchezza, questo è quello che basta.
«Ora vi lascio, sono le 20,00 e devo partecipare ancora a tre presentazioni di libri, intervenire a una trasmissione su Rai3, inaugurare un circoletto di tifosi del Napoli a Lusciano, interpretare alcune poesie di un poeta muto per una iniziativa di beneficenza. Invito tutti, e mi si permetterà una piccola pubblicità, a guardarmi stasera mentre demolisco con la mia dialettica Wanda Nara, la moglie di Icardi, in collegamento con Tiki Taka, e a comprare i miei prossimi sette libri in uscita domani. Anzi facciamo otto, perché se il Premio Napoli me lo concede, l’ottavo sarà la pubblicazione integrale di questo mio discorso di ringraziamento. Prefazione di Raffaele Auriemma e postfazione della sorella dell’ex moglie di Scerbanenco. Viva Napoli. Viva il Napoli. Viva il Premio Napoli».
I personaggi di questa breve storia sono reali. I loro pensieri, le loro azioni, i fatti che li riguardano, potrebbero essere frutto di fantasie.