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cinema
6 Febbraio 2023

Estate, a Reverie. Mercoledì a Galleria Toledo per la rassegna A FUOCO!

Francesco Migliaccio

Sarà proiettato mercoledì 8 febbraio, alle 20:30, a Galleria Toledo (vicolo I Porta Piccola a Montecalvario, 34) Estate. A Reverie, di Andrea Luka Zimmermann. Il film rientra tra le pellicole della rassegna A FUOCO! Fare cinema sotto attacco (dal 1 al 22 febbraio, in Galleria Toledo). 

*     *     *

Un tempo borgo fuori città, oggi Hackney è un quartiere del settore orientale di Londra. Qui, nell’area di Haggerston, sorge un complesso residenziale di edilizia pubblica: lo scenario delle riprese di Estate. A reverie di Andrea Luka Zimmerman. Il film inserisce nel montaggio brevi didascalie storiche: a fine Ottocento le case di Haggerston, secondo un sociologo, erano abitate da “classi povere, viziose e vicine alla criminalità”; negli anni Trenta del Novecento il comune di Londra costruì il complesso residenziale; negli anni Settanta le istituzioni licenziarono il custode, non garantirono più la manutenzione e negarono le riparazioni, i residenti uniti iniziarono uno sciopero degli affitti; negli anni Novanta un articolo di giornale definì il luogo “capitale europea dell’eroina”; dal 2004 il complesso non ha più accolto nuovi abitanti e le finestre degli appartamenti disabitati sono sigillate con pannelli arancioni; infine nel 2014 si è conclusa la demolizione. Zimmerman riprende la vita dei residenti per sette anni, tra il 2008 e gli ultimi sfratti.

Estate disegna una galleria di volti, abitudini, gesti e testimonianze degli abitanti finiti in un limbo. Jeff vive a Haggerston da trentun anni e racconta della sua infanzia: «Ho iniziato circa a sei anni, credo. È stata la guerra a farmi iniziare questo gioco. Come molti altri di noi facevano, andavamo a saccheggiare i posti quando erano bombardati. Prendevamo tessere annonarie e cose così per venderle». Smart, residente da vent’anni, ha un piccolo laboratorio artigianale dove produce resistenti borse da viaggio o per la spesa. Eric vive da trent’anni lì e coltiva pomodori e altri ortaggi sul balcone, così ha qualcosa da mangiare quando giunge il momento della maturazione. I personaggi guardano a volte in camera, si sente la presenza dell’autrice nel contesto, ma i gesti sono disinvolti, i toni affabili: la lunga frequentazione tra Zimmerman e gli abitanti è un tempo dove decanta la fiducia reciproca.

L’intimità consente di portare in scena quello che di norma è osceno. John H. suona la fisarmonica, ma, anno dopo anno, i segni di una malattia degenerativa divengono sempre più evidenti. I primi piani sul disfacimento fisico non sono pietosi e neppure cinici, ma affettuosi. Lo sguardo ha la forza della consuetudine: bisogna passare giornate intere con le persone prima che le immagini d’un film, o le parole d’un racconto, possano venire alla luce. Nel limbo di Haggerston vivono gli scarti della macina urbana: gli improduttivi sopravviventi, ma non sconfitti, né vittime. «Non sono invalido», protesta Jeff se qualcuno vuole contenere il suo barcollare. «Sento di non avere terreno sotto i piedi, ma non mi sento una povera vittima, ho ancora forza», confida Maciek dinanzi alla videocamera.

La forza vitale sfocia nella voglia di ricordare. S’attaccano alle finestre sigillate le foto dei volti dei vecchi residenti, i bambini disegnano sui muri la loro immagine per lasciare traccia del passaggio, di una identità che fu residente. Julia ricorda il tempo inscritto nello spazio: «Mrs Everton viveva qui. E Mrs Toogood, quando ero veramente piccola, una signora chiamata Mrs Toogood viveva lì, e Mrs English invece viveva là». E Julia rammenta anche la storia di famiglia: «Mio nonno morì nel 1937, dunque dovevano essersi appena trasferiti qui. Siccome veniva da Hackney, aveva un orto. Aveva un asino, un pony, papere, oche e polli e si trasferì in una camera d’appartamento e non poteva tenere il suo cane. Così si è ucciso con il gas insieme al suo cane». Nel giro di un secolo è scomparsa la campagna, blocchi di cemento si sono innalzati al cielo, poi le vecchie abitazioni popolari sono state distrutte per favorire il mercato immobiliare privato. Nella stanchezza degli abitanti s’intravede un ciclo perverso, in apparenza inarrestabile. Così la loro dignitosa impotenza s’apre al sogno, alla reverie. Le visioni, i giochi, i fuochi e i piccoli spettacoli di queste anime sospese sono manifestazioni vitali: un’ultima resistenza nostalgica. Qui la vita non trova l’abbrivio per la lotta. (francesco migliaccio)

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