Da: Il Corriere del mezzogiorno del 12 giugno 2014
Elegantissimo, impeccabile nel suo smoking, visibilmente emozionato. Era Franco Ricciardi, mentre riceveva martedì sera il David di Donatello per la canzone ‘A verità, colonna sonora del film Song’e Napule, premiato come miglior brano dell’anno. «Si è visto quanto ero emozionato, vero? Ero contento come un bambino, ma va bene così. Secondo me è questo lo spirito giusto per certe cose, che è anche il bello del nostro lavoro. Per me questo è un premio a tutti i sacrifici, gli “sbattimenti”, le notti passate a lavorare, a studiare, vicino al piano, in giro per concerti…». Dal palco romano Ricciardi ha voluto dedicare il premio a Ciro Esposito, il ragazzo proveniente dal suo stesso quartiere, ferito gravemente a Roma da un colpo di pistola sparato da un ex ultras giallorosso prima dell’ultima finale di Coppa Italia: «Ciro abita a Scampia, a pochi passi da casa mia. Conosco lui, la sua famiglia, e mi è venuto naturale un gesto del genere. Non era preparato, anche perché chi se lo aspettava di vincere!».
Da un punto di vista musicale, questo David è parte di un percorso che Ricciardi ha intrapreso fin dall’inizio della sua carriera, e che ora viene riconosciuto dalla critica. Che la sua produzione vada oltre quello che viene comunemente etichettato come “neomelodico”, infatti, in città è cosa nota; e se anche non tutti se ne sono accorti in tempo, già dai primi dischi il musicista napoletano ha mostrato una irrequietezza, una tendenza a sperimentare che è indicativa di curiosità, di voglia di mettersi alla prova e cercare qualcosa di nuovo non troppo comune nell’ambiente. Un’attitudine che ha sempre causato difficoltà a racchiudere lui e la sua musica in questo o quello scompartimento discografico. La costanza del suo successo in città, anzi, è ancora più sorprendente dal momento che, raramente, il fondatore di Cuore Nero Project (etichetta che produce l’ultimo album, Figli e Figliastri) si è posto il problema di inseguire un pubblico “di genere”. Ha provato sempre a cantare, a scrivere, a suonare e far suonare quello di cui aveva voglia, trascinandosi dietro una fetta di napoletani che ha imparato a confrontarsi con musica che non necessariamente avrebbe ascoltato altrimenti.
Se ‘A verità fa parte del penultimo album, da oltre un mese è nei negozi Figli e figliastri, disco che con gli ultimi due (Zoom e Autobus) compone una di trilogia di pop metropolitano, capace di cogliere attraverso le tante collaborazioni (Granatino, Co’Sang, Gue Pequeno, Da Blonde, Clementino, Rocco Hunt) le tendenze musicali più interessanti nate in città negli ultimi anni. L’album comprende quattordici tracce, sette in italiano e sette in napoletano, per la maggior parte inedite, a cui si uniscono alcune “riletture” di vecchi brani, riarrangiati con la collaborazione di altri musicisti. È il caso di Prumesse e soprattutto di Treno, brano storico del cantante napoletano, accompagnato per l’occasione da un rap di Rocco Hunt, che di Ricciardi ha quasi trent’anni in meno, e ha raccontato di come la canzone fosse una delle preferite di suo padre.
Rispetto a Zoom, che consacrava il sodalizio tra Ricciardi e Ivan Granatino, questo disco è ancora più personale. Leggendo i testi si scorge tanto dell’esperienza del cantante ormai simbolo della periferia nord di Napoli: «Un posto in cui sono nato e continuo a stare. Non è una di quelle cose che si dicono tanto per dire. A me piace stare a Scampia e provare a dimostrare che le cose si possono fare sempre e dovunque». Non è un caso che i due pezzi più interessanti del disco siano Madama blu e Magari questa notte. Il primo è il racconto di un tradimento sotto le Vele, una storia che fonde o più probabilmente confonde volutamente i protagonisti di una notte di periferia: donne inaffidabili, amici sbagliati, sirene della polizia sempre in agguato. Tutto sullo sfondo di una musicalità forte, che accomuna tutto il disco, ma che qui sembra cucita addosso al testo. Magari questa notte è invece il pezzo scritto con Clementino, storia di un amore perduto, ma che in sostanza elabora la linea dell’intero album e l’insofferenza di Ricciardi al lasciarsi confinare in una nicchia, nella ricerca continua di un senso o di un percorso prestabilito.
Il fatto che le due migliori canzoni del disco siano scritte una in napoletano e una in italiano, la dice lunga sulla capacità di Ricciardi di scrivere e cantare tanto in lingua quanto in dialetto, così come, più passa il tempo, più l’autore sembra muoversi senza difficoltà a cavallo di diversi generi: l’atmosfera dell’album è quella di un pop moderno, metropolitano, aggressivo, ricco di suoni elettronici che sembrano ripescati dalle discoteche degli anni Ottanta; nelle tracce in cui queste sonorità diventano preponderanti – Splendida venere, Champagne, So’ fernut’ ‘e sorde – il ritmo pop-rock lascia spazio alla dance, mentre in chiusura i brani inediti e quelli rivisitati sembrano un omaggio a un passato che Ricciardi non ha mai nascosto né rinnegato. Anche perché non ce ne sarebbe ragione, e non solo oggi, dopo un riconoscimento di questo genere. (riccardo rosa)
Leave a Reply