Le 13 e 17. Elio è seduto a piazza Dante. Aspetta Ossatura, una delle esperienze italiane più significative dell’improvvisazione creativa legata alle nuove tecnologie. Insieme a Guru, progetto composto da musicisti della scena napoletana – Marcello Giannini e Salvatore Rainone – animerà il venticinquesimo evento di “Geografie del suono, incontri con musicisti in transito”, un progetto prodotto dall’ex Asilo Filangieri che mira a promuovere gli incontri all’insegna dell’improvvisazione tra musicisti di varie aree geografiche e stilistiche.
Una chiacchierata al volo, di quelle in cui forse non contano le parole, ma la presenza. Il nostro incontro casuale mi prepara a una giornata che aspettavo da un po’. Elio Martusciello è il mio maestro di musica elettronica al conservatorio San Pietro a Majella. Prima del concerto avrebbe tenuto, per il quarto appuntamento del quinto ciclo di Disseminazioni, un incontro dal titolo “Le tecnologie della sensibilità: frammenti di un’autobiografia”. L’aspettavo perché può capitare si possa tacere di se stessi per mettersi in ascolto dell’altro per cui si è presenti nell’esercizio della propria funzione: è questo il caso di un maestro che ha fatto della maieutica una prassi didattica (e non solo).
Le 20 e 03. Arrivo in Armeria con un po’ di ritardo, proprio quando Elio presenta un video girato nel 1978 in super otto: da “piccolo”, con un cavo lungo duecento metri, portava corrente nello spazio aperto di una campagna dietro Poggioreale, in una Napoli non ancora città metropolitana. Obiettivo: il suonare. Accenna al problema del montaggio audio-video da sviluppare in due fasi; così, penso che 2016 meno 1978 fa trentotto e che la bruciante evoluzione tecnologica dei processi audiovisuali ha forse ostacolato una mediazione consapevole con la miriade di strumenti oggi a nostra disposizione.
A ogni fotogramma che compone il giro di ricordi attraverso il quale monta il racconto, Elio sorseggia una birra che fa compagnia al suo pc sul tavolino. Parla di tecnologie della sensibilità, della tecnologia come qualità specifica dell’immaginazione, dell’estetica che di fatto è sempre una tecno-estetica. Lo fa attraverso un’auto/audiobiografia a confronto con le tecnologie del suono. Mostra col sorriso gli sforzi (perché, fino al digitale, è stata veramente dura, ma che palestra dev’essere stata) di una relazione con la tecnologia da orientare verso la produzione di artefatti in cui ritrovare sedimentata la forza dell’immaginazione: riappropriarsi dei mezzi per lasciare una traccia. Il materiale e i mezzi impiegati segnano la relazione col contesto storico in cui ha operato, definendone lo spazio di azione.
Quindi, parla dell’influenza del cinema inteso come macchina; di come abbia preso posto nella musica totalmente improvvisata; del suo lavoro di musique concrète, dagli elementi ferrosi di Aura al più recente lavoro che fa migrare tale esperienza nella forma canzone. In verità, vi dico: taglio su molto, tranne che su Aestetichs of the machine: registrato nel 2000 all’Institut International de Musique Electroacoustique de Bourges (IMEB). Elio lavora su frequenze oltre i limiti della soglia d’udibilità: un gesto compositivo che aggiunge strati di complessità a una tecnica musicale che ha trovato nuovi territori da esplorare con lo sviluppo delle tecnologie. Le risposte, e delle macchine e degli ascoltatori, si relazionano intimamente alla diffusione; la diversità nella ricezione diventa una pratica della differenza. Un lavoro di cui ha mostrato anche i risultati grafici, grazie alla visualizzazione delle forme d’onda ottenute, in un intreccio col figurativo di cui la sua esperienza musicale porta in luce la fertilità. Riesce a terminare la birra prima di chiudere la sua narrazione: ricorda che la musica è sì centrale, ma viene comunque un po’ dopo la vita. Il piacevole incontro, vissuto un po’ nella consapevolezza che sarebbe finito a una certa (per via del concerto di poco più tardi con Ossatura), pur potendo continuare molto più a lungo, si chiude venti minuti dopo le 21.
Il tempo di fare il sound check, mangiare un panino nell’area ricreazione posta dinanzi al bar prima del teatro e salutare quelle persone che si sono relazionate con lui da quando è arrivato a Napoli, anche grazie all’orchestra dell’Officina arti soniche. Nata all’interno della classe di musica elettronica del Conservatorio e in breve tempo allargata a musicisti provenienti da altre classi e poi all’esterno, l’Officina è una sorta di “struttura aperta” e multi-identitaria, il cui cuore pulsante è la conduction, una pratica che si pone due fondamentali propositi: stimolare la creatività musicale estemporanea collettiva e incentivare, nella figura del direttore d’orchestra, l’arte della maieutica. Date le premesse, con l’appuntamento di Geografie del suono che raggiunge l’argentea meta dei venticinque incontri, c’è una sorta di pubblico delle grandi occasioni.
Le 22 e 45. Si spengono le luci. Nel concerto in occasione del Grande Vento, organizzato dall’ex Asilo Filangieri il 28 dicembre 2014, il primo gesto del conductor Elio Martusciello era stato un sonoro «Shhh!»; in una sorta di rituale circolarità, lo si è ascoltato anche stavolta, ad accompagnare l’inizio della performance. Il suono di fondo della corrente in azione sull’impianto dialoga con i primi interventi sonori del trio Ossatura – Elio Martusciello: computer; Fabrizio Spera: batteria e oggetti; Luca Venitucci: fisarmonica, oggetti ed elettronica –, la cui pratica improvvisativa ridefinisce il concetto di “composizione musicale” verso quello di “processo sonoro”: strumenti acustici, oggetti autocostruiti e materiali elettronici si integrano per la costruzione di una forma in costante mutazione e carica di libertà espressiva. Ci mettiamo in ascolto di un cinéma pour les oreilles, segmentando il flusso improvvisativo in episodi, rischiarati dalla coerenza delle scelte politiche, oltre che poietiche, operate col suono. Nel primo segmento i materiali si mischiano in una trama dal sapore tessiturale sostenuti da un’articolazione pulsante delle percussioni. Nel secondo, il batterista cambia il regime gestuale adoperando l’archetto: compaiono le basse frequenze. L’intensità, anche dinamica, del flusso sale; mentre il batterista si toglie la maglia, il dialogo tra fisarmonica ed elettronica si fa sempre più cogente sotto il profilo della coerenza dei materiali, fino al rientro di una ritmicità che serve ad articolarne la trama timbrica. Il terzo segmento vede la fisarmonica in solo, seguita dalla batteria in solo. Cresce d’intensità una frequenza che inizia a scavare le pieghe del discorso musicale, e rappresenta il momento decisamente più beat oriented della serata. Per il quarto segmento, voglio segnalare solo la coerenza del dispositivo acustico intessuto, per sottolineare quanto i musicisti in azione lavorino sullo strumento come estensione del proprio corpo, con movimenti tanto sinceri da poter esser considerati naturali. Il quinto segmento vede l’ingresso sul palco di Guru, che si posiziona alle ali di quello che sul palco si presenta ora come un quintetto. Le differenze nella gestione dello spazio sonoro si rendono più evidenti, e le scelte ora in campo condizionano l’andamento del flusso fino a momenti in cui la logica del dialogo viene soppiantata dalla stratificazione di gesti sonori propri. Giusto il tempo di ambientarsi: dopo circa dieci minuti l’intesa viene raggiunta col momento più noise dell’improvvisazione; la semantica timbrica degli strumenti sembra collaborare all’intensità di questo momento che precede il lento rimettersi in ascolto dell’altro, verso un’intimità guadagnata grazie all’esplorazione di territori meno dinamici, molto più giocati sulle micro-articolazioni gestuali. Non c’è feedback che tenga. Ci si avvia alla conclusione. Gli strumentisti riposano le loro mani; ringraziano dell’attenzione. Sono le 23 e 40.
Esperienze del genere ci interrogano sulla pretesa di responsabilità del suono calato nella dimensione dell’effimero. Napoli continua a rivelarsi attenta alla necessità che percorsi del genere non restino confinati nel dominio dei cultori della materia. (antonio mastrogiacomo)