
È un sabato di febbraio a Borgo Dora. Dall’inizio dell’autunno sono deserte le strade e la piazza dove nasceva il Balon degli straccivendoli. Resta ora il mercato delle pulci e degli antiquari governato dall’associazione dei commercianti. «Da quando hanno sgomberato il mercato di San Pietro in Vincoli, il passaggio di persone si è ridotto», mi confida un venditore di vestiti in via Borgo Dora. «Sono le nove, guarda, ancora non c’è nessuno. Ora s’inizia a vendere alle undici, prima non era così». Le bancarelle di vestiti, libri e chincaglierie proseguono in via Lanino, accanto alle vetrate della Casarcobaleno, circolo Arci e ritrovo LGBTQI. A pochi passi le serrande d’una gelateria sono ancora chiuse. Qui, sino a poche settimane fa, era appesa una bandiera che ritraeva una figura umana con un palloncino rosso a forma di cuore: “Il Balôn è di tutti” vi era scritto. Il logo è stato inventato dal comitato Oltredora, un gruppo di residenti favorevoli alla permanenza degli straccivendoli in questo quartiere, Porta Palazzo. Nei mesi il comitato ha raccolto firme contro lo spostamento del mercato, ha chiesto udienza alla giunta, ha distribuito all’aria aperta bandiere con cuori disegnati. Quando la polizia ha allontanato i venditori indesiderati, tuttavia, i residenti contrari hanno protestato flebilmente, poi il comitato dalle strade è svanito.
Ancora noto bandiere su alcuni balconi di Porta Palazzo. Pendono dalle finestre di via Noé 7, oltre corso Giulio Cesare: un edificio dalle pareti tinteggiate di fresco con dissuasori per piccioni sopra le cimase. Qui nacque dieci anni fa Fuori di Palazzo, un’associazione creata da un gruppo di residenti italiani (un architetto, un analista finanziario, un avvocato, fra gli altri) per facilitare la “promozione sociale e culturale” nel quartiere. Pochi mesi fa una cordata di enti e associazioni – Fuori di Palazzo, il comitato Oltredora, Arcigay, la Casarcobaleno, la gelateria – ha partecipato a un bando di Compagnia di San Paolo, ottenendo un finanziamento di quarantamila euro. Questo contributo permetterà di costituire una fondazione di comunità a Porta Palazzo. Ottobre è stato un mese crudele: le camionette occupavano il quartiere, quattrocento venditori sono migrati in via Carcano, i pochi straccivendoli resistenti hanno ricevuto multe da cinquemila euro, ronde dei vigili marciavano per le strade in caccia degli abusivi e i residenti amanti dei poveri hanno vinto la loro prima sovvenzione.
Ho domandato ad Andrea Fabris, program manager della Compagnia di San Paolo, cosa sia una fondazione di comunità. «Le fondazioni di comunità sono intermediari filantropici – ha risposto Fabris –, soggetti in grado di promuovere la coesione sociale e lo sviluppo di un’area specifica. Come intermediario filantropico, una fondazione di comunità promuove le donazioni da parte di aziende, privati, associazioni, enti pubblici per distribuirle a favore di progetti di utilità sociale presenti sul territorio».
La fondazione di comunità ha dunque il compito di acquisire capitali da investire su un territorio specifico, come un quartiere urbano in via di riqualificazione. Secondo Fabris «la fondazione di comunità, poiché è uno strumento al servizio del territorio, non deve avere una vocazione prevalente. La vocazione verrà fuori gradualmente, a seconda di quello che il territorio specifico ritiene prioritario. A Porta Palazzo avrà, presumo, caratteristiche coerenti con la sua multiculturalità e multi-etnicità, con un tessuto interessante di iniziative commerciali».
Secondo la legge, una fondazione si deve costituire a partire da un patrimonio minimo di trentamila euro. La Compagnia di San Paolo ha fornito il capitale iniziale, ma è molto probabile che continui, in futuro, a finanziare la fondazione di Porta Palazzo: «L’accompagnamento economico – afferma Fabris – è di solito pluriennale, sebbene non possa essere garantito formalmente. Le altre fondazioni di comunità sostenute dalla Compagnia sono state accompagnate con contributi annuali continuativi». Compito della fondazione sarà quello di attrarre capitali da donazioni e bandi ulteriori, affidandosi ai cittadini privati, agli enti pubblici, alla comunità europea. Chiedo se la fondazione di comunità potrebbe accedere a bandi europei per la riqualificazione urbana. «Sì, come qualsiasi altro soggetto del terzo settore».
Turbato, leggo il documento presentato per ottenere il sostegno economico, Per una fondazione di comunità a Porta Palazzo. “Porta Palazzo – affermano gli estensori – nel tempo ha acquisito un particolare valore culturale e sociale, che si esprime nella rete di relazioni e nell’agire quotidiano nel territorio da parte di tanti piccoli soggetti che […] generano un tutto piuttosto omogeneo e caratteristico, in fin dei conti l’essenza del luogo stesso (genius loci)”. Cosa s’intende per “valore culturale”? E quale il senso dell’aggettivo “caratteristico”? Il linguaggio è vacuo e generico con note d’involontaria comicità: la fondazione di comunità valorizzerà il “tessuto sociale” del quartiere con l’auspicio di ottenere “un riconoscimento internazionale del valore di tale patrimonio per l’esperienza umana mondiale (Porta Palazzo patrimonio immateriale dell’umanità?)”.
È coerente, mi chiedo, difendere carrettieri e raccoglitori di rifiuti e al contempo presentarsi come attori della riqualificazione? E proprio durante la stagione degli sgomberi? Per i membri della futura fondazione non vi è contraddizione: il progetto dedica alcune riflessioni al mercato “risorsa essenziale e centrale del quartiere”. Nel mercato vi sarebbero “risorse materiali e immateriali”: “materiali sono i luoghi, i mercati coperti e la materialità (sic) del quartiere attorno ad esso […]. Ma solo la risorsa immateriale della sua attività quotidiana dà senso a quei luoghi. L’abitudine di montare i banchi, di presentare le merci, gli sguardi, le urla, gli incontri e gli scambi”.
La fondazione di comunità intende difendere l’immaterialità del quartiere: il valore simbolico, la sua aura. Non si sono accorti che almeno otto concrete centinaia di venditori sono state allontanate dal quartiere? Cosa vi è di più materiale d’un lavoro perduto? I poveri, per loro, sono forse un ologramma che ispira la buona morale, un argomento valido per chiedere denaro alla Compagnia di San Paolo.
La Compagnia ha un ruolo rilevante nella storia recente del quartiere. L’ente filantropico negli anni ha finanziato con cinque milioni di euro la costruzione di un social housing in piazza della Repubblica, ha creato un’associazione giovanile, ha elargito quasi centomila euro a residenze artistiche al di qua e al di là della Dora, ha sostenuto numerose iniziative come il festival delle migrazioni e la stagione teatrale in San Pietro in Vincoli. Inoltre la Compagnia ha controllato, insieme alla città di Torino, il consiglio d’amministrazione dell’agenzia The Gate.
Dal 1998 The Gate è l’agenzia territoriale che gestisce la riqualificazione a Porta Palazzo, un collettore di fondi europei, nazionali e cittadini. Nel 2001 la giunta Chiamparino e The Gate hanno creato un ente adeguato – l’associazione Vivibalon – per governare il mercato di venditori senza licenza, straccivendoli, carrettieri. All’inizio del secolo i mercanti sono stati spostati dal greto della Dora a San Pietro in Vincoli e per due decenni hanno pagato una quota settimanale a Vivibalon. Dal 2009 l’associazione controlla anche il mercato informale della domenica, un tempo in piazza della Repubblica. Negli ultimi cinque anni il mercato domenicale è stato esiliato sempre più a nord: all’Ex-Scalo Vanchiglia, in via Monteverdi e, nel 2017, proprio in via Carcano. Vivibalon ha gestito due dei tre spostamenti. Questi allontanamenti sono i sintomi delle tendenze urbane di riqualificazione e sono stati il campo di prova per lo sgombero del Balon di San Pietro in Vincoli. L’associazione Vivibalon, emanazione delle giunte di centrosinistra e della Compagnia di San Paolo, è dunque uno strumento utile a governare gli straccivendoli. I membri della nascente fondazione di Porta Palazzo – dimentichi della storia, nella migliore delle ipotesi – contestano uno spostamento di cui la Compagnia è responsabile, ma al contempo ne accolgono i finanziamenti.
Ricordo che il 3 maggio 2019 il comitato Oltredora e i residenti di Fuori di Palazzo si trovarono di fronte alla gelateria di Borgo Dora per protestare contro lo sgombero imminente del mercato. Al microfono si definirono “residenti resistenti”. Quel pomeriggio, era un venerdì, alla discussione non si presentò alcun mercante. C’era invece Marco Grimaldi, segretario regionale di Sinistra Italiana, e proclamò: «Se la soluzione è fare il deserto e chiamarlo decoro, noi dobbiamo opporci fino all’ultimo minuto». Il 26 maggio si tennero le elezioni e oggi Grimaldi siede in consiglio regionale, ma nel quartiere non s’è più visto – neppure quando le stuoie sono state trascinate via grazie all’intervento della celere. Ricordo anche che Marco Giusta, assessore cittadino alle politiche per le famiglie e alle politiche giovanili, aveva – e formalmente ha ancora – la delega al mercato dei raccoglitori di oggetti ritrovati, sebbene sia stato esautorato da Chiara Appendino. Non è forse ambiguo che proprio Giusta abbia firmato una lettera di sostegno a favore della fondazione di Porta Palazzo, per rafforzarne la candidatura presso gli uffici della Compagnia di San Paolo? Com’è possibile che i “residenti resistenti” abbiano accolto l’aiuto dell’assessore responsabile del mercato sgomberato? E non è altrettanto ambiguo che Giusta sia stato presidente dell’Arcigay di Torino e fondatore di Casarcobaleno, due enti capofila nel progetto della fondazione di Porta Palazzo?
Marco Giusta, attualmente, è anche il presidente di The Gate, sebbene da anni l’agenzia territoriale non sia più operativa. Ho domandato ad Andrea Fabris la sorte di The Gate: «Tecnicamente l’agenzia non è sciolta, la Compagnia ha erogato nel 2019 la sua quota associativa e ha un rappresentante nel direttivo. La spinta propulsiva di The Gate, tuttavia, sembra essersi affievolita. Se la Compagnia di San Paolo agevola la nascita di un soggetto come la fondazione di comunità di Porta Palazzo, che presenta alcuni elementi di continuità con The Gate, allora questo potrebbe contribuire a riempire lo spazio vuoto eventualmente lasciato dall’agenzia territoriale».
La fondazione di comunità può essere il superamento di The Gate: cambia la città e insieme s’evolvono le istituzioni di governo. Allora ho avuto un’intuizione: perché non istituire una fondazione di comunità anche al di là del fiume, in Aurora e Barriera di Milano, là dove è sorto il centro direzionale Lavazza e l‘Asilo di via Alessandria è stato sgomberato? «Questa è una bella suggestione – concorda Fabris –. È una zona ricca di fermenti e di problemi. Io posso dire che i membri di Fuori di Palazzo, all’inizio, sono stati da noi sollecitati a un’apertura verso nord. La fondazione di Porta Palazzo potrebbe essere l’embrione di un ente che copra un territorio più ampio. Per ora i proponenti si concentrano su Porta Palazzo, ma non escludono un’apertura verso Aurora».
È sera ormai, gli antiquari ripongono i mobili nei negozi, i mercanti di Borgo Dora caricano i furgoni d’oggetti invenduti, s’alzano i richiami per la strada mentre i locali sono gremiti d’avventori. Avrei voluto confrontarmi con i vincitori del bando, ma il comitato Oltredora ha disdetto l’incontro all’ultimo momento; Casarcobaleno, invece, ha mantenuto un riserbo silenzioso.
Rimane l’amara sensazione d’un potere vigente tanto molteplice quanto uniforme. Gli esclusi, gli impresentabili, non hanno voce, mentre s’esprimono solo gli esponenti di due élite bianche: i cattivi, ed escludenti, che hanno insistito per allontanare i marginali, appoggiati finalmente da una giunta compiacente; i buoni, e benevolenti, che hanno usato i poveri per rivestirsi d’una morale esteriore, utile per una legittimazione politica. Nel progetto della fondazione di comunità, scrivono i buoni, s’ipotizza di acquistare “immobili da adibire a housing sociale per le fasce più deboli”. «Di cosa ti lamenti? – mi ha rimproverato un pomeriggio una residente del comitato Oltredora – Siamo noi a prendere i soldi, meglio noi che loro: i razzisti». Questa ricerca, per me, è stata l’occasione per osservare da vicino come i poteri siano complementari, e in equilibrio ancora. (francesco migliaccio)