«Tutt’apposto, mister. Sto ‘bbuono. Ringraziando iddio». (m.)
M. è un ragazzo tranquillo. Conosce tutti nel quartiere e tutti lo conoscono. Quasi tutti lo chiamano col suo soprannome, la storpiatura del nome inglese di una merendina della Kinder. Una volta lo incontrai mentre consegnava le pizze e facemmo un pezzo di strada insieme. Avevano arrestato un suo amico. Quando parlammo dell’amico arrestato disse (traduco dal dialetto): «Sono tutti fratelli miei, sto insieme a loro, siamo una cosa sola. Ma loro poi fanno delle cose e io ne faccio altre. Non mi piace di fare tarantelle, mi piace di stare tranquillo».
Quando la mia natura avvolgente lascia partire ogni sorta di calibro vivo nell’istante, e allora – balistica permettendo – mi trovate conficcato nei costati, negli addomi come nei crani; buco arti, superiori o inferiori che siano. Dunque detono o uccido a fasi alterne, governo e sono governato, come tutti. Se è vero che “ognuno ha quei princìpi che ha la cosa che egli ha”, ne va che chi mi possiede è posseduto da un istinto di morte che io finisco con l’alimentare. (cyop&kaf, confessioni di un bossolo di quartiere)
Una volta i facchini della Gls sbagliarono a consegnarmi un pacco. Lo portarono all’indirizzo giusto, numero civico giusto, non però del quartiere in cui abitiamo io e M., ma del comune con cui confiniamo (io, M. e il quartiere). Riuscii faticosamente ad avere questa informazione e mi avviai per cercare di recuperarlo. Incontrai per strada M., gli raccontai il fatto e lui si offrì di accompagnarmi. «Ora che arriviamo – gli dissi – non diciamo la verità sennò il pacco non ce lo danno. Io dico che sono un corriere e che ho sbagliato la consegna. Tu fai la parte del collega che mi aspetta giù». Va bene.
Arriviamo a destinazione, citofono. M. mi aspetta poco distante. La padrona di casa è un’anziana signora, ha il pacco, non l’ha nemmeno aperto ma mi dice di salire a recuperarlo, perché è anziana e non può fare le scale. Salgo, non c’è l’ascensore. La signora mi trattiene qualche minuto. M. pensa ci sia qualcosa che non va. Scende dal motorino, si guarda intorno, apre il portoncino e si affaccia verso la tromba delle scale: «Collegaaaaaaaa!», urla. «Tutt’appostoooo?».
Vagante è un buon passatempo se cercate un videogioco nel senso puro del termine: niente dialoghi e niente perdite di tempo, solo voi e ciò che dovrete affrontare, con un prezzo molto basso (circa quattordici euro) ma con forse un grado di difficoltà troppo elevato. Il titolo richiede costantemente di tenere la guardia alzata siccome non solo i nemici possono rivelarsi tosti in alcune situazioni, ma sono presenti moltissime trappole che si tradurranno direttamente nella morte del personaggio, indipendentemente dalle vostre statistiche. Questa cosa può portare ad altissimi livelli di frustrazione, soprattutto in partite piuttosto fortunate. (recensione di vagante, pixelflood.it)
Non ho sentito tanti spari di pistola da vicino, nella mia vita. Due credo, forse tre. Una volta, molti anni fa, ero a Terzigno, a un presidio contro la costruzione dell’ennesima discarica nell’hinterland campano. Ci furono scontri alla rotonda Panoramica, per impedire ai camion dell’immondizia di scaricare, come ce n’erano ogni sera. Finito il bailamme camminavo con una quindicina di altre persone, sconosciute a parte un paio, verso la macchina che parcheggiavamo tutti lontano dalla zona calda. Passa una Fiat Punto della polizia a gran velocità, tutti ci spostiamo di colpo sul marciapiede, un braccio si sporge dal finestrino e spara. Per fortuna in aria, ma a pochissimi passi da noi.
Qualche anno prima, avevo avuto un’altra esperienza con un proiettile vagante. Ero alle scuole elementari. Stavo sulla soglia della porta di casa, con mia madre, quando squilla il telefono. Non c’erano i telefonini, rispondere al telefono era una cosa importante. Così mia mamma mi lascia lì e corre in camera da letto per non perdere la chiamata. Non torna per qualche minuto, così vado io a dirle di far presto. La trovo che piange, seduta sul letto. Un gruppo di uomini del clan Alfano aveva ucciso un uomo del clan Cimmino sparando all’impazzata quaranta colpi per le strade dell’Arenella, in pieno giorno. Un proiettile vagante aveva ucciso Silvia, davanti agli occhi dei suoi figli. Francesco era con lei in strada. Alessandra, mia compagna di classe, li aspettava affacciati al balcone.
Pallottole vagante
‘e sti cape vacante
ca te fanno veni’ ‘o spanteco
‘sti guappe te fanno jitta’ ‘o sanghe.
Te fanno sazio ‘e terra ‘e campusanto,
in prima linea int’a l’inferno e Dante.
Pedine ‘e scacchi comme ‘o fante
‘o ciato ‘e arruina aret’ ‘e rine.
Anzi, si passe annanze scanza,
ma è inutile che fuje, nun avvia’ ‘a fuji’.
(la famiglia, fuje)
(riccardo rosa)
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