
Succede che l’acqua piovana, acida per sua natura, possa erodere la roccia che sta nel sottosuolo. Crea delle cavità, in cui col tempo si raccolgono particelle di terreno, per cui ciò che è in superficie collassa dall’alto verso il basso. Questo può avvenire naturalmente o, nelle società più evolute, per la rottura di condotte e tubature. Nel caso specifico, comunque, non è troppo importante. Resta che dalla fine di febbraio, da quando una enorme buca con diametro di diversi metri si è aperta nel bel mezzo di via Morghen, al Vomero, inghiottendo due auto e relativi passeggeri, la parola “voragine” è sulla bocca di tutti, impazzando poi come trend topic della settimana.
Buche stradali:
Verifiche sul ponte di Cavalleggeri d’Aosta. Si apre voragine a via Campegna (rainews.it, 4 marzo)
Crolli emotivi:
Voragini, il centrodestra: “Residenti e negozianti vessati e beffati” (anteprima24.it, 5 marzo)
Crolli che non tornano:
Superbonus, Foti: “Voragine è arrivata a centosessanta miliardi” (liberoquotidiano.it, 4 marzo)
L’etimologia viene in soccorso, per quel che può.
Dal latino vorago-inis: “abisso”, der. di vorare: “divorare, inghiottire”. In greco era invece βάραϑρον (“baratro”), la voragine in cui si gettavano i condannati a morte, soprattutto per colpe politiche. Nel 481 vi finirono gli ambasciatori di Serse, venuti a chiedere terra e – ironia della sorte – acqua.
Tra voragini, tombini impazziti, avvallamenti provocati da violenti acquazzoni, improvvisi e non, il Vomero vive in allerta continua. […] Giugno 2009: il Padreterno fu impietoso nello scaricare su Napoli una tempesta di acqua e grandine fuori stagione. Provocò crolli al Conte della Cerra, ai Camaldolilli, a Case Puntellate. […] Saltarono i tombini delle fogne e furono necessari interventi urgenti di rappezzo. […] Si parlò di venti milioni di euro di danni, ma soprattutto si lanciò un allarme che oggi risuona beffardo, che Il Mattino riprese in un titolo di quei giorni: “Disastro fogne, il Comune sotto accusa”. E ancora: “Gli esperti: impianti inadeguati”. Era quindici anni fa: seconda giunta Iervolino, poi due a guida de Magistris, ma sembra che il tempo sia passato invano. (gigi di fiore, corsi e ricorsi dei dissesti idrogeologici al vomero, il mattino, 5 marzo)
Alle sette del mattino del 23 di ottobre, che era il giorno dopo, la notizia arrivò per prima ad Annunziata Osvaldo, di anni ventisette, di Boscotrecase, centralinista di servizio al 113 della questura. Dopo che l’ebbe appresa Annunziata Osvaldo guardò istintivamente verso l’alto, alla vetrata con sbarre di ferro, e di fuori pioveva, certo pioveva: la pioggia era precipitata verso le tre di notte con raffiche violente, in punti diversi della città l’illuminazione saltata, del tutto fuori uso, le squadre di emergenza dell’Enel avevano fatto presente che non si poteva ripristinare un bel niente, se continuava a piovere come in quel momento pioveva, e come aveva continuato poi per tutta la notte e fino alle prime luci di un’alba grigiastra, per certi versi violacea, decisamente livida, funerea. (nicola pugliese, malacqua. quattro giorni di pioggia nella città di napoli in attesa che si verifichi un accadimento straordinario)
Vuoti di memoria, troppo spesso.
1994, il G7 in arrivo. Felice Pignataro realizza sei murales per denunciare le responsabilità dei “sette chiavici più uno stronzo”, e per lasciare una traccia più durevole della passerella napoletana dei sette grandi, che aiutasse a pensare e a riflettere. Il murales numero 4 (La casa è un diritto, non un regalo di chi comanda!) è ad Acerra, Rione Gescal, fatto con le persone del quartiere, gli occupanti in lotta per la casa. “Ci sono le lumache, che la casa se la portano sempre appresso, e la figura centrale di un capitalista che, a sinistra di chi guarda, distribuisce casette, come fossero zuccherini, avendo preso possesso delle case grandi e confortevoli che abbranca con l’altro braccio, dipinte attorno a una finestra. A destra c’è invece una folla di persone senza potere, compreso un extracomunitario (un curdo?) che le case se le costruiscono insieme”.
L’immagine di quel murales è sulla copertina de La voragine. Una cronaca della periferia di Napoli (Luca Rossomando, Editori riuniti, 2002). Il libro ricostruisce gli eventi – e soprattutto il prima e il dopo – avvenuti a Secondigliano il 23 gennaio 1996, quando la volta di una galleria sotterranea in costruzione sotto il Quadrivio collassò, tranciando le condotte del gas e causando un’esplosione che aprì, appunto, una voragine di circa trenta metri. La voragine inghiottì l’intero piazzale, la portata dell’incendio rallentò l’arrivo dei soccorsi, i pompieri cercarono (e sperarono) fino al mattino successivo di recuperare qualcuno ancora in vita sotto le macerie bruciate. Non ebbero successo. I morti furono undici: sei operai, due persone che transitavano a bordo delle loro auto, altre due a piedi e una che viveva nel palazzo crollato.
Il processo per i danni e soprattutto per la morte delle undici persone si concluse nel giugno 2003 con la condanna di tre imputati, ritenuti responsabili della realizzazione della galleria, con una pena sospesa di un anno e cinque mesi di reclusione e un milione e ottocentomila lire di multa. Un bel disco di Nino D’Angelo, A nu passo d’a città, fu dedicato alle vittime della tragedia.
A ‘nu passo d’a città
è ‘na gabbia ‘a libertà
chiuse a chiave d’a paura
tremma ‘o mare sotto ‘e mura.
Nun se sanno ‘e verità
a ‘nu passo d’a città
è nu cielo sempe scuro
addo chiovene parole.
Fuosse ‘e strade maje rignute…
Aiuto! Aiuto!
Ma ‘o palazzo già è caruto.
(riccardo rosa)