Che cosa ci mancherà di Pietruccio? Intanto che non si chiamava Pietruccio ma Antonio Ferraro, Pietruccio è il nome con cui era noto in tutto il quartiere Montesanto, quel vezzeggiativo di Pietro ereditato dal suo bisnonno il quale aprì alla fine dell’Ottocento la sede originaria nella Pignasecca da cui poi gemmò negli anni Settanta l’attuale negozio di piazza Montesanto. Già il nonno Pietruccio era un’istituzione, la sua attività era nata come distilleria e poi si era trasformata in coloniale (vendeva articoli alimentari provenienti dalle colonie europee) con il bar-caffè sprovvisto di porte perché aperto 24 ore su 24 e che diventò emporio dal dopoguerra in poi. Di Antonio detto Pietruccio, morto d’infarto dopo un tentativo di rapina a mano armata ieri sera, ci mancherà di certo la sua gentilezza d’uomo d’altri tempi, quella gentilezza con cui ha sempre servito i suoi clienti, aperto per loro ogni sera fino a tardi e salvando così le cene di tante famiglie di lavoratori ritardatari.
Il suo locale era minuscolo, un esempio di architettura creativa, oltre alle merci esposte destramente lungo le alte pareti, lo specchio oblungo e antico col nome della ditta, le luci che dall’esterno guidavano fino al bancone – trincea fatto di legno e di vetro, i colori sgargianti delle caramelle e dietro di esse, sorridente, l’alta e somma figura di un bell’uomo che salutava tutti cortesemente e che aveva fatto del lavoro la sua religione. Non pensate a male però, Antonio era molto generoso, lo sanno bene i mendicanti e i giovani punkabbestia che da lui trovavano ristoro e che infatti oggi saranno, comprensibilmente, i più addolorati tra i suoi clienti.
Nel suo negozio c’era un sottoscala che potrebbe sollecitare le fantasie più vivide, prima ancora di essere un rifugio antiaereo era stato un accesso ai sotterranei della città e, prima ancora, parte della muratura della porta sud della città, detta Portamedina, di cui ancora si legge in un’epigrafe in alto, proprio di fianco al negozio di Pietruccio. Antonio, a nostro avviso, sorvegliava da qui le vite dei suoi concittadini, in fondo accertandosi che essi riuscissero a mangiare, a bere e a volte a chiacchierare piacevolmente nel suo locale, dove si animavano allegri teatrini di parole e di canzoni e, talvolta, anche tentativi di furti che lui però era abilissimo a sventare.
Contro questa bellezza è entrato ieri (6 dicembre, Ndr) alle 19,45 a volto coperto un maschio, forse giovane, probabilmente del quartiere intorno, quasi sicuramente con la smania disperata di drogarsi e di certo con una pistola, vera o finta che fosse, mentre c’erano pochi clienti. Ricostruendo la scena, si vede il rapinatore che raggiunge il retro del bancone con l’arma spianata e Antonio che lo affronta a muso duro e chiude la cassa, sbiancando e sudando in preda all’inizio di un malore che scompiglia i piani del criminale e lo spinge alla fuga. In pochi secondi il drammatico epilogo che nemmeno la vicinanza dell’ospedale riesce a evitare. Antonio si accascia, su quei piedi grossi e stanchi, gonfi come il cuore che cede e se lo porta via, per quella porta che egli stesso vigilava, sopra i resti di quei prodotti “scaduti ma buoni” che egli aveva sempre deliziosamente sparso a destra e a manca senza curarsi del guadagno. Se n’è andato Antonio e alla fine di lui ne hanno parlato tutti i giornali, ha fatto rumore la sua dipartita, forse perché è morto sul campo di battaglia delle sue caramelle e dei suoi torroncini, della merce invitante e allegra come lui che, sempre pronto a un racconto o a un ricordo, ha passato la vita lì dove stava bene, tra la gente che amava accontentare affinché uscisse dal suo negozio di piazza Montesanto un po’ più felice.
Ha fatto forse la morte che desiderava, sulla trincea del suo commercio altruistico, della sua passione per le vite altrui che segretamente pesava e apprezzava come le sue caramelle. Quello che rende tristi è che sia andata via così crudelmente la bontà, quello che conforta e che essa riceva oggi le lacrime sincere di un mondo che ancora si nobilita volendo bene a un giusto che tutti chiamavano Pietruccio. (maurizio braucci / sergio vitolo)
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