Tra San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli, negli ultimi venti giorni sono state ammazzate quattro persone. Il primo omicidio è avvenuto a San Giovanni il 12 gennaio scorso. Ciro Varrello detto Banana, ventiquattro anni. Nel luogo dell’agguato, non lontano dai laghetti, dal cimitero, dalla caserma dei carabinieri, dal centro Asterix e dalle palazzine del Bronx, c’è una panchina rivolta verso una rotonda. Sulla panchina sono stati appoggiati dei fiori. Dietro la panchina è stato appeso uno striscione: Nell’immensità del cielo ora vive un altro angelo. L’altro agguato a Barra il 23 gennaio, nelle Case gialle di via Mastellone. Ciro Valda, trentaquattro anni. Gli hanno scaricato addosso trenta colpi di pistola.
La sera del 29 gennaio, in via Arturo Toscanini a Ponticelli viene ammazzato sotto casa Gennaro Castaldi. Vent’anni. Insieme a lui, Antonio Minichini, diciotto anni, gravemente ferito alla schiena e all’addome. Morirà nella notte dopo un disperato intervento chirurgico all’ospedale Loreto Mare.
La mattina del 30 gennaio, il questore di Napoli vieta i funerali pubblici per Antonio Minichini: «La decisione non è stata presa sulla base della personalità di Antonio Minichini, ma del contesto sociale in cui era inserito. Il ragazzo era nipote di Teresa De Luca Bossa, una delle poche donne detenute in regime di 41 bis. Pur provando profondo dolore per una giovane vita spezzata così presto, ritengo che il divieto sia d’obbligo».
Quello stesso giorno nell’aula bunker di Poggioreale era in corso la requisitoria per la strage di San Martino, quando l’11 novembre del 1989, davanti al bar Sayonara di Ponticelli furono ammazzate sei persone, tra cui quattro innocenti. Ventiquattro anni dopo, il Pm D’Onofrio ha chiesto undici ergastoli e sei condanne a vent’anni per diciassette imputati. Durante la requisitoria il pubblico ministero è tornato sul duplice omicidio e sulla scelta di vietare i funerali ad Antonio Minichini: «Si rischia di tornare a quel clima di odio cieco e violenza, perdendo tutto ciò che di buono è stato fatto negli ultimi anni. Anni in cui il clan Sarno è stato sconfitto e sradicato dal territorio, molti boss si sono pentiti e la gente ha cominciato a sperare in una vita diversa. Uno stato autorevole deve far sì che le persone si fidino delle istituzioni. Uno stato autorevole deve essere giusto e la decisione di negare i funerali per un ragazzo che veniva da una famiglia di camorristi, ma camorrista non era, è stata percepita nel quartiere come assolutamente ingiusta. In queste ore gli amici di Antonio Minichini, tanti giovanissimi come lui, si sentono lontani dallo stato».
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All’inizio, quando andavo per le prime volte in quella scuola media, mi domandavo il significato della parola affibbiata alla schiera di palazzine che la circondano. Conocal: sarà una delle tante sigle di edilizia popolare, più o meno come la parola Incis o come le lettere accorpate ai numeri dei vari lotti sparsi intorno a quei dedali di stradoni costeggiati dalle sopraelevate della tangenziale, nuclei abitativi messi in piedi intorno alla desolazione, dalle caratteristiche eterogenee, diversi dalle baracche per un solo dettaglio, come diceva qualcuno: le baracche erano orizzontali, le palazzine sono verticali. Alte. I rioni di questo territorio a est di Napoli prima di ogni cosa sono vissuti da persone. Famiglie, donne, uomini, anziani, adolescenti, bambini. Cortili interni, torri, cancellate arrugginite, spazi ampi, isolati solitari, sterpaglie, cemento, amianto e muri pittati. Bisogna andare in fondo a tutto, lungo via Argine. C’è via Virginia Wolf, via Al chiaro di luna, via Il flauto magico. Da via Sambuco appare un murales che ritrae il volto di un calciatore, sembrerebbe Maradona.
Conocal al di là del suo nome forse significa una cosa sola. Questo rione è stato costruito dopo il terremoto, nell’epoca dell’espansione edilizia legata ai piani di attuazione della legge 219/81, per metterci gli sfollati del centro storico. Costruirono i palazzi e lasciarono che accadesse ciò che è accaduto. Punto. Non è solo l’immagine dell’abbandono, dell’isolamento e dell’emarginazione. Non è neanche l’atmosfera degradante, l’accezione di periferia della periferia o la condizione di cattività in cui vive una parte della popolazione in questo angolo di dormitorio fatiscente al confine della metropoli, non lontano da Volla e da Cercola, ma lontano da tutto il resto. Ciò che infastidisce è l’assuefazione allo squallore, è quando un’alunna di una classe di quella scuola media devastata ti dice che sono gente di munnezza. In quell’affermazione c’è del vero, perché qua la gente è stata trattata come le ecoballe (Carla Melazzini lo spiegò meglio di qualsiasi sociologo). Li hanno ammassati lì e basta. Nessun luogo di aggregazione, nessun riferimento, a parte un campetto di calcio vandalizzato, il nulla circostante e un centro commerciale a Volla. Questo posto è controllato dai clan Perrella-Circone-Ercolano, fedelissimi, secondo alcuni, ai clan barresi Cuccaro-Aprea, che comandano a Ponticelli, gestendo gli affari illeciti del territorio “in subappalto”. Agli occhi della maggior parte degli abitanti, la percezione dello stato è rappresentata da quattro o cinque istantanee: le sirene e le divise della polizia, i blitz, il carcere, gli arresti domiciliari, qualche iniziativa inconsistente e i politici che in tempo di campagna elettorale vengono a farsi un giro per accaparrarsi un po’ di consenso.
Gennaro Castaldi e Antonio Minichini, i due giovani di ventuno e diciott’anni, sono stati uccisi qua, in una strada nei pressi della scuola media. Di conseguenza sono arrivate le telecamere dei telegiornali che hanno ripreso e sono andate via, e i posti di blocco dei carabinieri lungo le arterie stradali che da Barra portano a Ponticelli. Lo stato d’allerta si traduce in preoccupazione dissimulata, soprattutto per gli adolescenti che vivono ogni giorno questi spazi desolanti. C’è chi sa bene, tra di loro, che sono saltati gli schemi tra i clan egemoni, le famiglie Cuccaro-Aprea di Barra, e quelle di Ponticelli, i De Luca Bossa-Marfella, che adesso stanno cercando di opporsi al controllo sul territorio conquistato dai barresi nel tempo. Per questo motivo è probabile che ci saranno altri agguati, perché ora «devono vedere chi si deve pigliare Ponticelli», come aveva detto un alunno di sfuggita. L’irruzione in classe della morte di due giovanissimi provoca una moltitudine di reazioni disparate difficili da ascoltare, delicate perché c’è chi si sente coinvolto, investito, chi non ne vuole sapere perché sa già troppo, chi con l’indifferenza e il chiasso nasconde il rifiuto di accettare, chi si stanca di parlare, chi domanda di leggere ad alta voce il pezzo di cronaca sul giornale per trovare conferma di ciò che si mormora da tempo nel rione, chi chiede di parlare d’altro per poi uscire dalla classe, e chi invece è talmente abituato a tutto questo da apparire sfuggevole, consapevole molto più di chiunque altro che non è il primo agguato che fanno e a cui assistono direttamente o indirettamente. E non sarà l’ultimo.
E allora da queste parti cresci con una convinzione confermata dallo sfacelo che vedi e senti quotidianamente, magari ci ridi sopra, oppure non ci ragioni neanche troppo. Sono convinzioni che difficilmente si comunicano attraverso le parole. Ti senti colpevole di essere nato qua e percepisci il vuoto, finché non ti ritrovi in classe a tredici anni, a tenere conto di questa condanna e a subire un giudizio senza appello. Ecco cosa significa il rione Conocal. Significa «la paura di fare un passo, poi due, poi tre, perché da quando sei nato ti dicono che sei una merda, e alla fine ti ritrovi a crederlo veramente». (andrea bottalico)
Post Scriptum:
Da un esercizio collettivo insieme ai ragazzi della scuola media: “Quando esco di casa vedo le macchine, vedo le mamme che accompagnano i figli a scuola, vedo i papà che mangiano le pizze, vedo i palazzi, vedo merda, vedo spazzatura, vedo scippi, ladri e poliziotti, vedo incidenti, vedo il fuoco, il pastore tedesco che ti da addosso, vedo gli alberi, poi vedo gli ubriaconi con la birra in mano, vedo la gente che fa schifo, vedo persone con il pigiama, vedo sempre le stesse cose, non vedo niente, vedo bianco e nero, vedo le persone che rubano, gli zingari, la pioggia, il sole, le colombe, il merlo, il fruttivendolo, vedo una salita, persone che urlano, vedo mamme che picchiano i figli. Sento i rumori, i clacson, sento i venditori ambulanti, sento le sirene di polizia, carabinieri e ambulanza, sento strilli, schiaffi, sento il motore di una macchina, sento sgommate, sento motori di moto, sento la mamma che mi chiama, sento il gallo, la gallina, il cavallo, sento tanto silenzio, a volte non sento niente…”.