Con il comando logistico militare pronto a favorirne il transito, il molo borbonico avrebbe ora bisogno di investimenti per riqualificarsi, aprire al pubblico e diventare un prolungamento a mare del “lungomare liberato”
Il molo San Vincenzo di Napoli, la lunga e larga banchina borbonica nel cuore della città attende da decenni di essere aperta al pubblico. Alla radice un presidio della Marina militare che la rende inaccessibile, il resto è demanio pubblico gestito da un’Autorità portuale uscita da poco da un commissariamento lungo oltre tre anni, che se aggiungiamo i «quattro anni di presidenza debole» precedenti, come li ha definiti il presidente del Propeller Clubs e agente marittimo Umberto Masucci, diventano un decennio di noncuranza di un molo storico bellissimo, unico, abbandonato, sprecato.
In un primo tempo, verso la fine degli anni Novanta, sarebbe dovuto diventare una piccola stazione marittima per navi da crociera e grandi yacht. Poi museo del mare, ipotesi ora abbandonata. Sull’onda del “lungomare liberato” di via Caracciolo avrebbe dovuto liberarsi prima di tutto del presidio della Marina militare. Poi, a partire dal 2012, in concomitanza con l’allontanamento della Nato e lo spostamento a via Acton del comando logistico Sud dell’Esercito, sono arrivati gli urbanisti napoletani e gli psicologi di comunità della Federico II e la dialettica delle parti si è rovesciata: ora la Marina militare è memoria storica che va valorizzata, essendo l’unica a essersi presa cura della struttura. «La Marina è pronta a ridimensionare la sua presenza. Da parte nostra c’è tutta la volontà di aprire il passaggio», rassicura Raffaele Caruso, comandante logistico a Napoli della Marina militare, nel corso di un convegno (“La città che cambia. Molo San Vincenzo: la possibile integrazione porto-città”) tenutosi proprio di fronte il San Vincenzo, al Maschio Angioino. «Mi sembra di capire che non ci sono ostacoli all’apertura», risponde il sindaco de Magistris. «Ho avuto – continua – dal ministro della difesa e dal sottosegretario Alfano l’impegno a occuparsi del San Vincenzo. Vedo una convivenza tra la Marina e i cittadini, almeno in una fase iniziale».
Ora che è stata risolta la “questione di metodo”, ora che la Marina non è più il bastione da espugnare, o peggio sgomberare, e si mostra addirittura aperta a far transitare il pubblico, cosa manca? «I finanziamenti europei, che non penso siano difficili da trovare», risponde il sindaco. I soldi, insomma, quei capitali con cui poter dragare gli accessi, ristrutturare la scarpata, avviare attività culturali, istituire quel polo di attracco per le navi passeggeri tanto desiderato dalla community portuale, per creare infine una passeggiata in mezzo al mare, prosieguo della lunga zona pedonale di via Caracciolo. E come far entrare le persone se l’accesso resta militarmente presidiato? «Stiamo pensando diverse soluzioni. La più fattibile al momento è quella di transitare con un sistema di trasporto pubblico, o con un servizio taxi dedicato, per far scendere le persone oltre le palazzine della Marina», spiega Massimo Clemente, urbanista dirigente di ricerca al Cnr e fondatore di Friends of molo San Vincenzo, associazione nata poco più di un anno fa. Un’altra soluzione che bypassa il presidio, sponsorizzata dal Gruppo Ormeggiatori e Barcaioli del porto di Napoli, è quella del traghettamento: le persone si imbarcherebbero dal Beverello per sbarcare oltre la zona militare, direttamente sulla banchina che nella parte che affaccia all’interno è intervallata da archi in pietra risalenti ai Borboni.
Il molo San Vincenzo è ancora chiuso al pubblico, inaccessibile (nel 2011 realizzai in video un servizio giornalistico in occasione della prima maratonina del Propeller Clubs: a distanza di cinque anni le dichiarazioni e i buoni propositi sono rimasti inalterati). Andrebbe riqualificato e invece giace lì, uno spreco di demanio pubblico composto da oltre due chilometri di banchina, a due passi dal Palazzo Reale, dal Maschio Angioino, da piazza Municipio, e finisce in mezzo al mare, di fronte la Stazione marittima di Cesare Bazzani. «Ti giri verso la terraferma e vedi la Tavola Strozzi dal vivo», commenta Umberto Masucci, primo promotore del San Vincenzo da quando il 21 aprile del 1998, allora presidente degli agenti marittimi napoletani, avviò una ristrutturazione da venti miliardi di lire per rinforzare gli ormeggi e ristabilire una banchina che stava sprofondando. Il sogno degli imprenditori portuali era aggiungere altri attracchi alle crociere, che da allora in avanti sarebbero esplose. Ma poi non si è fatto più niente: il molo resta, pur se solo alla radice, un presidio militare. Prossimo appuntamento il 4 dicembre, per la consueta maratonina amatoriale organizzata dal Propeller. (paolo bosso)