Tre album di grande successo in sei anni, e la città, per qualche stagione, ai suoi piedi. Diecimila persone, al PalaCasoria, per sentirlo cantare. Una canzone, “La nostra storia”, utilizzata come colonna sonora del “Gomorra” di Garrone, non un pezzo qualunque, ma quello scelto per accompagnare la sequenza iniziale del film. E soprattutto la sua hit più celebre, “Scivola quel jeans”, sui cellulari e gli I-pod di tutti i ragazzini napoletani. Non tutti, forse, ma tantissimi.
Se la musica neomelodica del duemila ha avuto una caratteristica particolare, è stata quella di coinvolgere una fascia di ascoltatori molto più ampia rispetto a quella degli anni Ottanta o Novanta. Il tardo-neomelodico, così l’ha chiamato qualcuno, ha avuto la forza di rapire, molto di più di quanto non avesse fatto quello di Nino D’Angelo o Ciro Ricci, l’intera città, anche quella che aveva sempre rifiutato le ugole e i testi del popolino, preferendogli la profondità e l’impegno dei Bennato e dei Daniele. Tutto questo, per esempio, è stato Raffaello, negli ultimi dieci anni. Gli anni di un successo vertiginoso raggiunto in fretta, e a cui rimanere aggrappati era molto difficile. Ad ascoltare la sua musica – così come quella di Alessio, o di Tony Colombo – non è stato soltanto il proletariato, la cittadinanza popolare che in ogni caso, numeri alla mano, costituisce tra centro e provincia la maggioranza della popolazione napoletana. Ad ascoltare Raffaello è stata anche quella borghesia che talvolta lo faceva sorridendo sarcastica, o imitando (caricando ulteriormente, ma con un accento che non gli apparteneva) i vocalizzi dei giovani che arrivavano alla ribalta raccontando storie d’amore tra adolescenti, corse in motorino, ragazzine “napoletane con gli occhi a cinese”. Gli stessi ragazzi che in pubblico, parlottando con gli amici, storcevano il naso davanti alla “musica della camorra”: deridevano il look e l’idolatria dei cantanti da parte della mazzamma, i video un po’ kitsch, il dominio cacofonico e assoluto delle vocali sulle consonanti, e i testi banali e sempre uguali, così lontani dalla poesia pura di quelli di un Liga, un Jova o un Vasco.
Non c’è un ventenne, però, a Napoli, che non sia mai andato a cercare “Scivola quel jeans” o “Ma si vene stasera” di Alessio, su Youtube, e non l’abbia ascoltata, magari con le cuffie, magari con discrezione, ma a tutto volume. Il boom della musica su internet, è stato senza dubbio una delle ragioni che ha segnato questo salto di qualità, da questo punto di vista, per la musica neomelodica: oggi nessuno compra più i cd, e sono rimasti in pochi a guardare i programmi dove i cantanti si alternano esibendosi per tre-quattro ore, dedicando parole d’amore e racconti di storie struggenti a destra e a manca. Oggi la musica funziona sulla rete, e farsi bombardare da ciò che piace, ma anche da ciò che non si conosce, o si è sentito per caso, in un film, o nel vicolo mentre si andava ad apparare il fumo per una canna, è la routine. A ciò va aggiunto il cambiamento nei cantanti, più che nella musica. Raffaello e Alessio, più di tutti gli altri, hanno lanciato il modello di neomelodico-star, con quei capelli fonati e laccati alzati fieri sulla testa, giacche attillate e pantaloni a sigaretta, fisici asciutti, e baci, e parole d’amore alle fan in delirio. Quello che aveva fatto Nino D’Angelo con la melodia, gestendo come nessuno aveva saputo fare, il passaggio dalla canzone classica a una più pop, loro lo hanno fatto con il personaggio. Certo, quarantenni e cinquantenni forse un po’ invidiosi, dicono lo abbiano fatto per colmare il gap con i cantanti di vecchia generazione, incommensurabilmente più bravi a livello canoro: impossibile raggiungere voci come quelle di Gianni Celeste, Ciro Ricci, o Maria Nazionale per le donne, e allora era necessario batterli su un altro terreno, quello dello star system. Nulla di più vicino al passaggio da Madonna a Britney Spears, dai Nirvana alle boy band. Da Londra e New York, dritto fino agli studi di registrazione del Centro direzionale, di Secondigliano, di piazza Cavour, tutto il mondo è paese.
A questo punto, però, anche tutto ciò che gira intorno ha cominciato a cambiare lentamente: non più in carcere o nei guai per problemi con il clan, o in ogni caso molto meno spesso rispetto a prima. Non più casini perché la metà dei testi dell’ultimo album erano stati scritti dal boss-chansonnier. Non più nella bufera, sul Mattino o sul Corriere del Mezzogiorno per una parentela scomoda, o per i soldi prestati dal sistema per prodursi il cd. Ma piuttosto scandali per una folle corsa in moto, per una striscia di coca o un bicchiere di troppo, per una rissa o stravaganze di ogni tipo. Come un Balotelli o una Paris Hilton qualunque, in salsa Billionaire, piuttosto che in quella “vichi e vicarielli”.
Inseguendo il personaggio, in questi giorni, rischia di rimetterci le penne proprio lui, proprio Raffaello, proprio uno di quelli che ha creato dal nulla un successo e l’ha tenuto alla ribalta per un decennio quasi. Ha ventiquattro anni, abbastanza per aver raccontato di sogni ad occhi aperti, amori al cioccolato, e una storia che “sembra scritta da un cartone alla tivvù”. Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la musica neomelodica si rende conto di come restare sulla cresta dell’onda, ininterrottamente per dieci anni, sia impresa particolarmente difficile, qualcosa che in fondo non è riuscita nemmeno ai più grandi, a Nino D’Angelo, a Finizio, a Luciano Caldore, tutti cantanti che hanno conosciuto alti e bassi, parabole e curve di successo decisamente ondulate, curve che per qualcuno, invece, si sono trasformate in vere e proprie cadute e risalite continue, tra le stelle e la polvere. Raffaello, grazie a un talento effettivamente rilevante, oltre che a questa nuova veste da rockstar sopra le righe, è riuscito a diventare qualcuno, ad affermarsi e a far ascoltare fino allo sfinimento i suoi album. A riempire piazze e a schioccare le dita per ottenere serate e concerti, donne e macchine, roba che per tanti, nel settore, restano il miraggio di un’intera carriera.
Poi, proprio quando la sua curva stava naturalmente scendendo, ecco che ritorna, Raffaello. Ne avrebbe fatto volentieri a meno, ovviamente: prima l’arresto, per l’aggressione e le minacce, coltello alla mano, a un vigile, un agente della municipale, e un infermiere del 118. Qualche ora a Poggioreale, e pena sospesa, in attesa del processo. Poi, nella notte tra sabato e domenica, un incredibile incidente, una roba da Hollywood ma proprio nella zona di Poggioreale, dove con il suo scooter si è schiantato frontalmente con un’automobile, guidata, a quanto pare, da un celebre attore napoletano, per anni nel cast di “Un posto al sole”. Era nella sua corsia, Raffaello, non correva all’impazzata e indossava persino il casco, cose impensabili, per una star tutta eccessi e esuberanze. L’impatto, però, è stato talmente forte che ora rischia la vita: gli è stata asportata la milza, la prognosi è riservata, con buona pace delle storie da cartoni alla tivvù.
Tutt’altro che con buona pace, però, di Antonietta e delle sue amiche, ragazzine della Pignasecca, che non hanno idea di chi siano di Jim Morrison o Johnny Cash. La parabola di Raffaello, al contrario, la conoscono bene, e sperano in un lieto fine, l’unico possibile: «Sono andata all’ospedale a vedere come sta, ma non fanno entrare nessuno. Sono molto triste in questi giorni, ma se ce la fa gli dobbiamo stare tutti vicino, deve tornare quello di una volta», racconta.
Di eroi maledetti e finiti male ce ne sono già troppi in giro, e il fascino che esercitano è roba da borghesia. Antonietta di queste cose ne vede già abbastanza, e se pensa al suo Raffaello, preferisce sognare altro. Una storia a lieto fine, da cartone alla tivvù. (riccardo rosa)
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