Nell’introduzione al nostro libro DETTI, viaggio tra i soprannomi del popolo napoletano abbiamo scritto che sarebbe auspicabile un’indagine accurata su ciascuna delle vite che si cela dietro questi annunci mortuari. Sarebbe necessario un osservatorio permanente che attraverso l’utilizzo della storia orale possa preservare un patrimonio di storie che altrimenti – in tutta evidenza – è anch’esso destinato alla morte. A mo’ di esempio ripubblichiamo un’intervista (raccolta per il volume QS, Appunti per una storia orale dei Quartieri Spagnoli) a Rosa Pacetto, per oltre vent’anni animatrice, insieme al “Gabbiano”, suo marito, dell’emittente libera Radio Quartieri Sound. (cyop&kaf)
Le trasmissioni di Radio Quartieri Sound incominciarono nell’aprile del 1980, pochi mesi prima del terremoto. Tutto nacque da una specie di capriccio della signora Rosetta, che ancora oggi vive nel basso di vico Tofa, al di sotto del quale era situato lo studio di registrazione. Radioascoltatrice appassionata, Rosetta si era messa in testa di aprire la “sua” radio. Da qualche anno le radio libere spuntavano dappertutto in giro per l’Italia e accanto a quelle che diventeranno poi delle industrie della comunicazione, nascevano tante piccole emittenti che sfruttavano un segnale nemmeno troppo limitato. A Napoli, Rosetta fu una delle prime. Per anni la radio fu il suo primo pensiero la mattina e l’ultimo prima di andare a dormire. La radio erano le feste di piazza, i raduni, i matrimoni. Poi le telefonate con i cantanti, le ospitate, le interviste in studio. In breve tempo Rosetta e Vincenzo, detto ‘o Gabbiano, suo marito, diventarono delle piccole celebrità locali, e con loro i ragazzi che facevano i programmi. Vincenzo aveva fatto il cameriere di bordo sulle navi. Nel ’79, un po’ per la stanchezza, un po’ per le insistenze di sua moglie, scelse di non partire più. Non avrebbe mai immaginato, nel giro di qualche mese, di essere travolto da un affare che avrebbe monopolizzato tutti gli anni che gli restavano da vivere.
Per i Quartieri la radio di Rosetta è stata un’istituzione. Innanzitutto per chi la ascoltava, e la utilizzava per dediche, saluti, comunicazioni; ma anche per i cantanti, che cominciarono a frequentare il basso di Rosetta e Vincenzo: Nino D’Angelo, Mauro Caputo e Mario Trevi avevano sempre tempo per fare un salto a portare l’ultimo 45 giri; Mauro Nardi si faceva vedere spesso davanti al basso di vico Tofa, e le fan si radunavano nell’attesa che entrasse nella stanza delle trasmissioni. Poi le telefonate. Di giorno e di notte. Chi voleva parlare, chi voleva ascoltare un pezzo, chi aveva bisogno di lasciare un messaggio a qualcuno. Compresi i saluti dei detenuti, che inviavano alla radio le lettere per la famiglia e ricevevano messaggi che auguravano a interi padiglioni una presta libertà.
«I programmi li ho iniziati il 5 aprile del 1980. Tenevamo due frequenze, una locale e l’altra tramite ponte, con l’antenna sopra al Vesuvio. Lo studio lo tenevamo al piano di sotto di casa mia. Io non sono della zona, sono venuta da sposata, sono originaria di Capodichino, mentre mio marito è nato e cresciuto proprio in questa casa. Sono stata qua con lui per cinquantadue anni. A quell’epoca si potevano fare belle cose. Il periodo del terremoto abbiamo fatto ponte con altre radio nei posti dove era successo il peggio – Avellino, i paesi – e siamo riusciti a raccogliere qualcosa, mandavamo parecchia roba di vestiario. Passavamo per la chiesa della Concordia e il prete li mandava a loro. Oppure alla Befana raccoglievamo i giocattoli – devo tenere un sacco di fotografie di queste cose – e li portavamo agli ospedali, agli orfanotrofi. Oggi è diverso. Io credo che questo cambiamento è successo perché è cambiata la vita, ci sta molta disoccupazione e tutti quanti se vottano a fa’ quello che non dovrebbero fare. Ai figli miei se non li sistemavo io, chissà oggi che stavano facendo.
«La radio è durata fino a dieci anni fa, perché poi ebbi una brutta malattia e dovetti lasciare. Mio marito pure teneva un problema di salute, e quindi non eravamo più in grado di gestirla. All’epoca ci lavoravo io, mio marito e poi avevamo qualche amico, sempre dei Quartieri, che ci dava una mano. Ma lo facevano anche loro per passione, non pagavamo nessuno. Mettemmo insieme dieci persone, chi faceva il programma italiano, chi il napoletano, chi la discomusic, insomma variavamo, alle quattro facevamo pure il programma per bambini. Con il tempo ci siamo persi. Alcuni, quelli del quartiere, ancora li vedo, molti altri invece sono anni che non li vedo più. Ognuno di loro poi teneva un lavoro con cui campava. E infatti si dovevano conciliare le trasmissioni con gli orari di lavoro. Ogni programma non durava più di due o tre ore. Il mio andava sempre dalle 9 alle 13, fino a ora di pranzo. A fine giornata c’era il notturno, che lo facevano i figli miei fino a mezzanotte, dopodiché mettevamo il Revox e di notte la radio andava avanti. Mi dispiace che tutte queste cassette sono andate sperze quando ebbi l’intervento, con la malattia di mio marito che nel frattempo cominciava ad aggravarsi, e quindi vendemmo tutto.
«Quando cominciammo ad avere un po’ di successo venivano anche i cantanti come ospiti. Quelli che ci stanno ora sulla piazza sono venuti tutti quanti qua. Solo uno non è mai venuto: Mario Merola. Da Nino D’Angelo a Zappulla, a Moreno, Mario Trevi, cantanti che ancora oggi tenene ‘nu nomme. Mario Merola aveva un grande successo, ma come uomo era un po’ troppo… (fa un gesto con la mano indicando il cielo, come a dire “il padreterno”). Una volta andammo a una cena spettacolo a un ristorante dalle parti di Ercolano, perché ci stava lui a fare la serata. Noi stavamo proprio nel clou della radio, eravamo conosciuti. Io stavo fuori al ristorante con una conduttrice, stavamo fumando una sigaretta. Arriva lui e scende dalla macchina. Io mi avvicinai, ma lui si pose troppo come un superuomo. Allora me ne andai, dissi alla mia amica: “Neh, ma ch’ha capito chist’? Tu nun si nisciuno proprio! Tu oggi se sei qualcuno devi ringraziare le radio libere! O sinò stive ancora a scaricà int’o puorto!”.
«Nino D’Angelo invece era bellissimo. Io tenevo una conduttrice, e mio figlio Gaetano pure, che erano malati di D’Angelo. Un giorno D’Angelo mi telefona, io dissi: “Senti, io tengo a mio figlio Gaetano e la mia conduttrice che ti vorrebbero fare un’intervista, come vogliamo fare?”. Lui fa: “E qual è il problema! Io sto girando un film a Procida, tu vieni a Procida e non ti preoccupare”. Doveva essere la fine degli anni Ottanta. Andammo là, avemmo una bella accoglienza, lui ci portò nell’albergo dove stava con la troupe, addirittura ci voleva portare a Ischia perché dovevano fare una scena in un locale. Disse: “Ja gabbia’ vieni. Venite tutti quanti, vi faccio fare la comparsa”. Mio marito poi si metteva vergogna e non ci andammo. Allora ci accompagnò fino al porto, ci offrì un gelato e ci lasciò quando ce ne salimmo sul vaporetto. Troppo un signore, veramente».
Oggi Rosetta la radio non la ascolta più. Quando non le va di accendere la tivù, al massimo si sintonizza su Radio Italia anni Sessanta, che trasmette vecchie canzoni italiane. Anche i cantanti napoletani «non sono più buoni», tanto che quelli della sua generazione vanno ancora fortissimo anche tra i giovani. Quelli che si sono affermati negli ultimi dieci anni li conosce tutti, ma per lei nessuno avrà mai la voce di Franco Moreno, di Mauro Nardi, del giovanissimo Gigi D’Alessio che andava a portare in radio il suo primo LP, né di quelli che negli anni sono diventati suoi amici, le cui canzoni Rosetta associa al periodo più bello dalla sua vita. Ogni tanto capita che qualcuno che lavora in una radio locale le chieda di fare un programma. Ma lei, nonostante un po’ di nostalgia, fa capire che non è più quel tempo. Lo studio di registrazione è diventato uno scantinato, dove i figli di Rosetta accumulano materiale. Lei ha conservato tutti i 33 giri. Centinaia di dischi con musica di tutti i generi, dalla dance ai cartoni animati passando per la napoletana. Una vita intera ammucchiata disordinatamente in grossi scatoloni che farebbero la felicità dei collezionisti. I macchinari, invece, sono stati venduti o regalati. Le apparecchiature per l’alta e la bassa frequenza, i microfoni, i mixer che erano costati milioni, poi faticosamente rientrati nel corso degli anni.
«Come pubblicità all’inizio entrava poco e niente, riuscivamo a fare qualcosa di soldi perché organizzavamo un raduno per l’anniversario della radio, oppure la festa a Montevergine o altre feste a cui facevamo pubblicità in radio, e poi le mandavamo in diretta perché partecipavano i cantanti. Una volta facemmo pure la veglia dell’Immacolata, ma non era cosa per noi, ci stavano molte persone anziane, di notte, per strada, il freddo… E poi ci stava qualcuno che era un simpatizzante della radio e allora veniva una volta e ti faceva un regalo; oppure, che ne so, sposava la figlia, sponsorizzava il programma e ti faceva una regalia. Quello era il modo in cui andavamo avanti. Siamo stati pure i primi a fare le telefonate, però non percepivamo niente, era solo un contatto con la gente. Gli ascoltatori chiamavano in diretta, facevano i saluti, chiedevano il brano, però la cosa non si fermava là, si parlava del più e del meno, ti raccontavano i problemi loro; così come veniva, così la seguivamo, senza interrompere o senza tempi rigidi. A me piaceva il contatto con il pubblico, era una cosa che mi faceva trasformare. Quando scendevo al programma ero un’altra persona. A volte, quando c’erano gli ospiti, le conduttrici si sentivano a disagio e mi dicevano: “Fallo tu l’ospite, io non me la sento, tu sei più spigliata”, e stesso loro dicevano: “Ma tu sei un’altra persona quando fai il programma”. Il fatto è che questi con la loro intelligenza si credevano che dietro i microfoni ci stava una povera ignorante, mentre io sapevo arò l’aveva pognere… È stata una cosa importante, anche a livello personale, perché ho cominciato che tenevo trentacinque anni, ero giovane, e mi ha dato tante soddisfazioni l’emittente libera, pure come conoscenze, come cerchia di amicizie. Anche perché così come mi chiamava la signora affianco e quello del piano di sopra, a me me chiammavano pe’ tutte viche, pe’ tutte parte. Il segnale arrivava lontano. Un radioascoltatore mi chiamava sempre da Trapani, e per dimostrare che mi ascoltava mi mandava le cassette registrate dei nostri programmi.
«Tenevo un ponte radio che era una bellezza, con una frequenza sempre dichiarata, tutto in regola con i documenti, una potenza. Certo, dovevi stare a posto con tutto, tanto che quando uscì la legge, negli anni Novanta, molti di quelli che non tenevano dichiarata la frequenza, li andarono a chiudere. Qua sopra ai Quartieri ne chiusero diverse perché non stavano a posto. Anche se la maggior parte trasmettevano solo in zona, arrivavano al massimo a Ercolano, a San Giorgio, non come la nostra. Ci stava una grande competizione, una grande gelosia. E queste gelosie poi portavano a certi strascichi… Un periodo, per esempio, mi mandavano ogni tanto le guardie giù. Può darsi che mi posso sbagliare, che era qualcuno fuori dal giro delle radio, ma si può dire che io ogni tre giorni tenevo ‘a “Montecalvario” ncuooll’, che mi veniva a perquisire. Una volta venne un ispettore, allora dissi io: “Ispettò, voi avete avuto la lettera anonima? Mo vi faccio vedere quante ne ho avute io!”. Aprii il mobile e gliele feci leggere tutte. Ma erano a decine! Disse lui che era una donna, era la stessa grafia della lettera che teneva in mano lui, però era analfabeta, non sapeva scrivere bene. Mi chiese a chi potevo pensare. Io dissi: “Io penso a tutti e a nessuno”. Anche perché tu puoi sospettare, ma non puoi avere nessuna conferma. Poi solo con me ce l’avevano, con le altre radio no, evidentemente perché ero la prima. Era gelosia.
«Per qualche anno abbiamo tenuto pure la televisione, si chiamava “Onda Azzurra”, anche se la diffusione era solo locale, poteva arrivare fino a San Giovanni, Portici, perché con la televisione è più difficile. A volte facevamo i programmi in diretta, per esempio quando venivano i cantanti ospiti alla radio, li mandavamo anche sulla televisione; poi mettevamo i film, le cose per bambini nel pomeriggio, le registrazioni delle gite e dei raduni che facevamo. Però, devo dire la verità, a me piaceva di più la radio. Ti senti più a tuo agio, pure si te vuo’ fuma’ ‘na sigaretta… Invece quando andavi con la tivù ti sentivi un po’ osservato. Poi sia io che mio marito non siamo stati bene, abbiamo levato da mezzo. Capitava che avevi una rottura tecnica, magari di notte, dovevi andare dove stava il ripetitore, risolvere, non era roba da poco. Anzi, per alcuni mesi l’ho tenuta solo locale, mi vendetti la postazione del Vesuvio a un network, che ci stavano appresso da tempo alla frequenza mia. Vennero fino a qua, gente competente, con tutti i documenti, dissero: “Signò, noi stiamo sentendo la frequenza vostra da anni, tenete una frequenza proprio pulita”, e se la comprarono. Poi in verità ci sono state altre radio libere, amici di mio marito, che l’hanno venduta al doppio della mia, però ormai quella cosa era finita, e io volevo vendere. Così per qualche mese abbiamo fatto la locale, e poi chiudemmo il libro definitivamente. Le trasmissioni si sono chiuse nel mese di febbraio del 2002. Mi sono un po’ commossa, devo dire la verità. Qualche amico ancora lo tengo, nel giro, e gli potrei dire: “Siente famme fa’ ‘nu programma”. Che ne so, una volta alla settimana. Me lo darebbero subito». (intervista raccolta da riccardo rosa e cyop&kaf)
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