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napoli
3 Maggio 2014

Scampia, il quartiere delle fiction e quello della realtà

Luca Rossomando
(archivio disegni napolimonitor)

Da: Repubblica Napoli del 3 maggio

“Ci sono luoghi in cui il male ha un nome antico”. “Le colpe dei padri ricadono sui figli”. “Sangue chiama sangue”. “Il male è tra noi”. Immagini di una limousine tra le Vele di Scampia, richiami di sentinelle bambine, pistolettate, colpi di grazia, sventagliate di kalashnikov. Bar che esplodono, blitz di polizia, imprecazioni, ordini, minacce. Nel trailer diffuso da Sky, e ripreso ovunque in Rete, per annunciare l’imminente messa in onda della serie tv “Gomorra”, c’è poco spazio per i dubbi sul punto di vista scelto da produttori, sceneggiatori e registi per mettere in scena le vicende ambientate nella periferia nord di Napoli. Non è un caso che i pochi minuti della presentazione abbiano già rinfocolato le polemiche esplose all’epoca dell’allestimento dei dodici episodi ispirati al libro di Saviano.

Quelle polemiche culminarono in un’infuocata assemblea nell’auditorium del quartiere, condita dagli anatemi del presidente della municipalità e dai botta e risposta tra lo scrittore, il sindaco e i rappresentanti di alcune associazioni. Quel che accade ora, alla vigilia della messa in onda, è la prevedibile riedizione di quelle diatribe. E se certe prese di posizione sembrano piuttosto stratagemmi per farsi un po’ di pubblicità, i temi del dibattito sono rimasti immutati: se sia possibile, per esempio, barattare un’operazione commerciale che demonizza un intero quartiere in cambio di qualche beneficio economico per chi nel quartiere ci abita; se questo genere di narrazione non finisca per diventare un’implicita esaltazione dei camorristi o se invece riesca a evidenziarne il destino disperato e senza sbocchi; e ancora, se l’immagine di “cattivi” così dinamici, sempre armati, autoritari, sprezzanti del pericolo, non rischi di traviare le menti delle persone più giovani e influenzabili; e se sia corretto raccontare solo la parte dei cattivi o non sarebbe meglio rappresentare anche quella dei buoni, la cittadinanza attiva, le associazioni del territorio.

Rispetto a quest’ultimo punto, pare che nel frattempo qualcosa si sia mosso, dal momento che Sky e Cattleya hanno prodotto, accanto alla serie tv, anche cinque cortometraggi sulla cosiddetta “parte sana” del territorio, con l’implicita ammissione che se da un lato si specula sul disagio e sulla cattiva fama di un luogo, dall’altro si è disposti ad aprire una finestra sulle sue istanze più edificanti. Una pratica piuttosto schizofrenica, con il male tutto nella serie tv e il bene tutto nei documentari – naturalmente “d’autore” –, che dovrebbe mettere in guardia sui presupposti delle opere prodotte, ma che in fondo rientra nella logica di un sistema commerciale con cifre a molti zeri, che può anche permettersi qualche apertura al politicamente corretto.

In fondo, parliamo “solo” di film, o di telefilm, e al di là dei temi trattati bisognerà attendere l’inizio di maggio per apprezzarne la riuscita (e continuare il dibattito). È pur vero che in passato pellicole come lo “Scarface” con Al Pacino o “Il camorrista” di Tornatore, ma anche la serie tv sul “capo dei capi” Riina, hanno trovato cultori ben al di là della loro riuscita formale, e non solo tra i ragazzi di vita o tra i soldati del “sistema”, ma anche negli ambienti di ceto medio. Per fortuna, conoscere a memoria interi dialoghi dei film di malavita, mimare le smorfie o le pose degli attori, non è ancora motivo sufficiente per mettersi a fare rapine o ammazzare a sangue freddo qualcuno. Il destino degli esseri umani, e soprattutto dei più giovani, è ancora in gran parte determinato dalle condizioni materiali in cui vivono, dalle opportunità che gli sono concesse o che riescono a conquistarsi.

In questo senso, piuttosto che sapere se la troupe di questo ennesimo Gomorra abbia montato i set sui ballatoi delle Vele con la mediazione dei camorristi, dei poliziotti o delle associazioni del posto, importa capire, per dirne una, se il famoso Piano Scampia, annunciato dal sindaco nell’autunno del 2012, abbia sortito qualche risultato concreto: bisognava consegnare decine di case popolari ai legittimi assegnatari, completare la facoltà di medicina, abbattere le Vele ancora in piedi, assegnare locali abbandonati alle associazioni e metterle in condizione di farli funzionare, utilizzare a pieno regime l’auditorium, trovare una soluzione dignitosa, finalmente “europea”, per i campi rom della zona. E così via. Tutte misure potenzialmente capaci di innescare cambiamenti positivi, e ben più importanti di una serie di telefilm; ma, a quanto pare, infinitamente più difficili da realizzare. (luca rossomando)

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