Sarà presentato lunedì 18 gennaio (ore 18,00), Il fuoco a mare. Ascesa e declino di una città-cantiere del sud Italia (Napoli Monitor, 216 pp. – 15 euro). Il libro, scritto da Andrea Bottalico, è un reportage narrativo sul lavoro nei cantieri navali di Castellammare di Stabia, un tempo terza città industriale della regione. Per l’occasione l’autore incontrerà Antonio Grieco, alla Sala Assoli del Teatro Nuovo (vico Lungo Teatro Nuovo, 11o).
da Repubblica Napoli del 16 gennaio
C’è una questione che resta sempre ai margini, nei tanti dibattiti sulle sorti della nostra città. Si gira spesso intorno al ricatto della camorra, alla preoccupante violenza, alla mancanza di servizi pubblici efficienti, a una classe dirigente sempre uguale a se stessa; ci si aggrappa ogni tanto al miraggio del turismo o del grande evento, alla retorica delle eccellenze e delle start up. Quasi nessuno tira in ballo un processo epocale, giunto quasi al termine della sua parabola, ovvero lo smantellamento del tessuto industriale in tutta l’area metropolitana, da cui dipendono in buona parte gli esorbitanti indici di disoccupazione e la ripresa massiccia dell’emigrazione interna. Scomparse le fabbriche maggiori, con le grandi crisi di settore (metalmeccanico e chimico su tutti) si diradano anche quelle medio-piccole, che costituiscono più del novanta per cento del totale. Pochi ne parlano, quasi fosse un tabù o una battaglia ormai persa, ancor meno quelli che studiano, indagano, si preoccupano di descrivere l’umanità che si cela dietro le impassibili cifre su licenziamenti e cassa integrazione, mobilità e prepensionamenti. La fine dell’era industriale dalle nostre parti meriterebbe ben altra curiosità, profondità d’analisi e di racconto.
In questo panorama, un libro su Castellammare di Stabia, in un tempo non lontano terza città industriale della regione, rappresenta un’eccezione importante. Il fuoco a mare. Ascesa e declino di una città-cantiere del sud Italia, di Andrea Bottalico (Monitor edizioni, 2016), è un’inchiesta, o un lungo reportage narrativo, ma si legge come un romanzo. Ha spessore letterario, ma non per questo si compiace delle parole, le usa piuttosto per andare al nocciolo delle questioni, veicolare informazioni, storie, punti di vista. Al centro c’è il cantiere navale, il Cantiere con la maiuscola, quel che resta del grande progetto delle partecipazioni statali, dove sono impiegati attualmente seicentocinquanta lavoratori, una sorta di avamposto del lavoro operaio in quella “area di crisi”, come la definiscono le istituzioni, che comprende una dozzina di comuni stretti nella lingua di terra tra il vulcano e la fascia costiera.
Bottalico tiene insieme nel suo racconto la condizione esistenziale delle maestranze – l’incertezza del futuro e l’orgoglio del lavoro ben fatto, la malinconia di chi si percepisce come una specie in via d’estinzione, la rabbia che non ha un oggetto verso cui indirizzarsi – accanto alle dinamiche internazionali del commercio navale, una congerie di elementi che sembrano fluttuare molto al di sopra delle loro teste, eppure sono quelli che determinano la possibilità di continuare a lavorare, di guadagnarsi un salario in quel cantiere per molti versi obsoleto nella profonda provincia italiana.
Come si racconta il lavoro? Quali sono le cause prime e remote che determinano, con effetto a cascata, la vita o la morte di un cantiere con duecento anni di storia in un’area economicamente depressa del nostro meridione? Quale rapporto lega gli operai ai manufatti che hanno contribuito a creare? Come si traduce in parole la loro quotidiana fatica, e quella particolare sapienza della mano e dell’occhio che in un processo produttivo come quello navale, non del tutto automatizzato, conserva un margine residuo riservato alla sapienza “artigiana”? Sono domande inevitabili se si imboccano certi sentieri, e l’autore non si sottrae, interrogando soprattutto i protagonisti, ma anche i tecnici, gli specialisti, gli addetti ai lavori in giro per l’Italia. Nel libro ci sono le atroci morti sul lavoro e la lenta emersione della questione amianto: nei documenti ufficiali, negli accordi sindacali e anche nei corpi delle maestranze; le vicende che si snodano in un “fuori” soltanto apparente, dalle faide di camorra al progressivo assottigliarsi di un’identità che per decenni si era identificata con la tradizione comunista; ci sono anche le debolezze e le ambiguità di un luogo di lavoro cresciuto in simbiosi con la “piccola città” che gli sta intorno. E proprio La piccola città era il titolo di un libro che Franco Ferrarotti dedicò a Castellammare negli anni d’oro dell’inchiesta sociale in Italia. Bottalico raccoglie l’esortazione del professore a non fermarsi, a continuare la ricerca. Ma nel frattempo sono passati sessant’anni. Si diano da fare allora i nostri scrittori, giornalisti, ricercatori sociali. Ci sono voluti tre anni di lavoro e di studio, decine di interviste e conversazioni informali, la perseveranza e l’allegria degli esploratori, per mettere insieme un lavoro che potrebbe essere il primo passo di un percorso di conoscenza, non solo per il suo autore, ma per chi senta la voglia di accantonare le chiacchiere superficiali e gli schemi prefabbricati e cominciare a descrivere il nostro presente con un approccio originale e una lingua appropriata. (luca rossomando)