
La nuvolaglia che copre il cielo napoletano non promette una giornata tranquilla, ma nonostante ciò sono circa seicento tra lavoratori, studenti e disoccupati a presentarsi in piazza per partecipare al corteo del Primo maggio.
Il concentramento è a piazza del Gesù. Al vento si notano le bandiere di diverse organizzazioni: subito davanti alle mura della chiesa ci sono quelle del Sol Cobas, che con i lavoratori della Gls sono i primi ad accendere l’animo della piazza con cori e fumogeni; più vicino all’obelisco i vessilli rosso-bianco-verdi di organizzazioni come i Gpi – Giovani palestinesi italiani e il centro culturale Handala Alì, che insieme ad altri liceali e universitari da qualche mese hanno dato vita alla Rete studentesca per la Palestina. Il gruppo più numeroso è quello formato dai disoccupati del Movimento 7 Novembre e dai lavoratori del Si Cobas, anche quelli perlopiù del comparto logistica, ma non solo.
Intorno alle dieci i disoccupati aprono uno striscione che recita: “Caro vita, sfruttamento, disoccupazione, genocidio e repressione. Contro il governo della guerra: lavorator*, disoccupat*, student* uniti nella lotta”. Dietro lo striscione una trentina tra lavoratori e disoccupati si schiera indossando simbolicamente dei caschi da lavoro gialli e denunciando pubblicamente, in questo modo, l’incremento degli ultimi tempi del numero già altissimo di morti sul lavoro. Dietro di loro ci sono quattro cordoni di sicurezza e poi il corteo, che parte guidato dal camioncino con casse e microfono per gli interventi. Un dispiegamento di celerini con quattro camionette e una cinquantina di agenti in tenuta antisommossa sorveglia a distanza il tutto.
Il tema centrale del corteo è naturalmente il lavoro. I militanti del sindacato di base Si Cobas mettono l’accento sulle criticità occupazionali (e “disoccupazionali”) in città, e in particolare raccontano le azioni degli ultimi giorni messe in atto dai lavoratori della logistica sull’intero territorio nazionale, con interruzioni di trasporto merci, scioperi e astensione dal lavoro. Il richiamo è a “una lotta per la dignità, contro la religione del profitto imposta da grandi imprese, imprenditori, padroni e padroncini”.
Arrivati davanti a Palazzo Gravina, sede della facoltà di architettura, alcuni studenti si staccano dal corteo per aprire due striscioni, uno in solidarietà ai loro colleghi che nelle università americane stanno protestando contro il genocidio in Palestina, e un altro che fa riferimento alle collaborazioni che le università italiane hanno con lo Stato e con aziende in Israele.
All’incrocio tra via Monteoliveto e via Medina il cordone di sicurezza si allarga, bloccando la viabilità delle auto e lasciando avanzare il corteo. Protetti dai ragazzi e dalle ragazze del servizio d’ordine alcuni manifestanti aprono uno striscione in direzione della questura centrale, a sostegno dell’attivista siciliano Luigi Spera, detenuto in Alta sicurezza nel carcere di Alessandria con accuse surreali. L’intervento al microfono riferisce della lettera che Luigi ha scritto in questi ultimi giorni, raccontando il regime di detenzione in cui si trova. Accompagnano lo striscione una batteria di fuochi pirotecnici e fumogeni, rendendo la scena affascinante per gruppetti di turisti che nonostante il cattivo tempo si aggirano per il centro. I più curiosi seguono per un po’ la manifestazione, qualcuno scatta foto-ricordo, ma con l’arrivo della pioggia battente si dileguano tutti. Il corteo invece continua, sotto il diluvio.
Sulla discesa che conduce a via Acton molti manifestanti indossano mantelline colorate. «‘O patapata ‘e l’aaaaacqua» gridano in tanti una volta arrivati di fronte al tunnel della Vittoria, proprio mentre sul ponte sovrastante gli attivisti del Cantiere 167 Scampia con uno striscione ricordano la necessità di una casa per tutti, senza sfratti o aumenti di affitto (questione trasversale ormai a tutte le zone della città, dalla periferia ovest all’area nord, passando ovviamente per il Centro Storico).
Musica e corteo continuano sul Chiatamone. Le note dei Rage Against the Machine accompagnano i manifestanti che, ormai zuppi, intonano cori e slogan a voce ancora più alta. All’arrivo in piazza dei Martiri, sotto la sede di Confindustria, i manifestanti trovano schieramenti di forze dell’ordine ancora più numerosi che proteggono da un lato via Cappella Vecchia, e la zona vicina alla Sinagoga, e dall’altro il palazzo di rappresentanza degli industriali. Alcuni striscioni rimarcano i clamorosi numeri dei morti sul lavoro nel paese, e quelli causati dalla cosiddetta alternanza scuola-lavoro. Lapidi di legno con su scritte le età, la città e le cause di queste morti vengono esposte provocatoriamente. Approfittando dell’assestamento di un presidio improvvisato una decina di attivisti lancia palloncini pieni di vernice rossa sul portone d’ingresso di Confindustria e poi sparisce tra la folla cercando di evitare i filmini degli agenti della Digos.
Passerà ancora un po’ di tempo prima che il corteo si sposti di nuovo verso il Centro Storico, per un pranzo sociale a sostegno delle lotte cittadine, il cui ricavato servirà come cassa di resistenza per i tanti processi che i gli attivisti e le attiviste della città subiscono di continuo. (angelo della ragione)