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parola della settimana
5 Maggio 2024

La parola della settimana. Sconforto

Riccardo Rosa
(disegno di ottoeffe)

Per la seconda volta in meno di due settimane dei ragazzi del mio quartiere hanno rischiato la vita senza ragione. Raoul e Carlo (scrivo i loro nomi perché tanto sono su tutti i giornali), classe 2009, erano andati a una serata nella più grossa discoteca della zona, forse della città. Una festa per adolescenti, iniziata alle 18, che avrebbe dovuto finire alle 23. Nel locale – che occupa, pagando cifre irrisorie, un immenso spazio sul litorale che la legge vorrebbe invece adibito a spiaggia pubblica e gratuita – c’erano migliaia di ragazzi e ragazze. 

Un gruppetto era entrato con l’idea di litigare, e ci stava provando da un po’, pestando i piedi dei coetanei e dandogli spallate. Verso le 21, Carlo viene calpestato, e ne chiede conto al calpestatore. Senza che nemmeno volino schiaffi o spintoni, il calpestatore tira fuori un coltello e lo infila nello stomaco di Carlo. Raoul si avvicina per fermarlo e si becca a sua volta una coltellata nel fegato. Solo grazie ai riflessi di Raoul, il cugino di Carlo si salva, perché Raoul, nonostante il fegato bucato, riesce a dare un calcio all’accoltellatore che perde l’equilibrio e si dilegua. Verrà arrestato pochi minuti dopo, mentre Carlo e Raoul vengono portati all’ospedale e operati d’urgenza. Rischiano di morire per diverse ore. Solo da ieri sono entrambi fuori dalla rianimazione, nel reparto di chirurgia dell’ospedale San Paolo. 

Sconfòrto: s.m. [der. di sconfortare] – Stato di grave avvilimento, di profondo abbattimento morale, conseguente a evento spiacevole, a insuccessi, a gravi preoccupazioni, a stati di depressione psichica: essere preso dallo sconforto; è caduto in un cupo sconforto; […] anche, con valore concreto, cosa che provoca sconforto, per lo più in frasi esclamative ellittiche: che sconforto la casa così vuota!; quale sconforto una gioventù senza speranza nel futuro!

Il quartiere in cui io, Raoul e Carlo viviamo è un ex quartiere operaio. A trent’anni dalla chiusura dell’enorme acciaieria non ha una precisa identità, anche a causa dei progetti di rigenerazione miseramente falliti con sprechi di denaro pubblico per un totale di quasi un miliardo di euro, finito nelle tasche dei soliti noti attraverso consulenze, stipendi, carotaggi, interventi discutibili (e difatti discussi). Probabilmente, una delle poche fonti di salvezza è stata finora l’esistenza di una comunità coesa – anche se pure qui ci sono le guerre tra poveri e ricchi, e tra poveri e poveri –, che in qualche modo ancora si porta sulle spalle quel secolo di storia operaia. 

Ai suoi giovani il quartiere, come d’altronde quasi tutti gli altri quartieri della città, non offre nulla: non ci sono strutture sportive pubbliche, c’è un parco tutto spelacchiato e sempre arso dal sole, e altri due o tre abbandonati; le piazze e le strade sono piene di bar notturni che vendono cibo e bottiglie di alcool scadente anche ai bambini delle scuole medie (che in molti casi aspettano di compiere sedici anni per poterci non andare più, a scuola). Le spiagge sono tutte a pagamento, fatta eccezione per un lido comunale che apre e chiude secondo gli umori del funzionario di turno, e per la devastata e inquinatissima spiaggia di Coroglio (di mare è inutile parlare, che tanto non è mai stato bonificato dopo la chiusura della fabbrica). C’è una gigantesca ex base militare, dove l’uso delle tante strutture sportive dovrebbe essere per statuto a beneficio dei ragazzi del quartiere, che è in buona parte abbandonata e per la restante lottizzata a pagamento a imprenditori e associazioni amiche del potere. C’era un consultorio che fu fatto aprire con la lotta dalle donne del quartiere, e che era un supporto decisivo per le ragazze e le giovani mamme, ma è chiuso da anni. Salvando la buona pace di qualcuno, con gli alunni meno controllabili, gli insegnanti e gli assistenti sociali si comportano più come poliziotti che come educatori. 

Pochi giorni dopo l’accoltellamento di Carlo e Raoul, il Movimento 5 Stelle ha indetto una manifestazione a Bagnoli, con le solite parole d’ordine di destra, tipo “sicurezza” e “controllo”, e altre di sinistra, tipo “territorio”. Non si capisce bene da chi il M5S pretenda questa sicurezza, dal momento che da diversi anni governa tanto la città quanto la municipalità di Bagnoli-Fuorigrotta, e che ha governato l’Italia in indecenti coalizioni con la Lega prima, e con il Pd poi, per tre anni consecutivi. In ogni caso, le persone del quartiere hanno impedito la passerella contestando la goffa parata elettorale sulla pelle di due adolescenti in quel momento ancora in pericolo di vita.

Tra i politici più contestati: 

  • Roberto Fico, ex presidente della Camera, che non perde occasione per provare a recuperare i voti che aveva un tempo a Napoli, e a Bagnoli.
  • L’assessore De Iesu, un ex poliziotto che va in giro a dire che “i napoletani hanno una propensione a violare le regole”, e definisce i gruppi di ragazzi che vogliono passare la serata nei quartieri del centro “branchi che vengono dai quartieri periferici”.
  • Il vicepresidente della municipalità Sergio Lomasto, che qualche anno fa ha acquistato uno spazio nel quartiere abbandonato dal suo proprietario, ma che nonostante le condizioni disastrate veniva utilizzato dai ragazzi per giocare a pallone (oggi ha un padrone, e associazioni amiche del padrone che lo bazzicano, mentre i ragazzini che ci andavano si guardano bene dal frequentare un posto con telecamere e tutto il resto); lo stesso Lomasto, poco dopo averla comprata, ha fatto decorare l’area da Jorit e poi ci ha invitato l’ex premier Conte per chiudere la campagna elettorale che lo ha portato lì dov’è.
  • L’assessore allo sport del comune Emanuela Ferrante, incapace di garantire lo svolgimento in condizioni igieniche da mondo civilizzato di un progetto europeo su calcio e discriminazioni, promosso da una rete di associazioni e una ong internazionale, e che lo stesso Comune patrocina (obbligando di fatto educatori e adolescenti a svolgere anche i ruoli di giardinieri, spazzini, imbianchini, addetti alla disinfestazione e alla derattizzazione).

In calce, va segnalato un servizio del Tg3 regionale, il cui autore è forse stato a Bagnoli venerdì, ma a Bagnoli Irpino, perché parla di “quindici contestatori” (erano almeno quaranta), affermando che la contestazione fosse indirizzata contro il locale notturno in cui è avvenuto l’accoltellamento e non contro l’intero sistema di gestione della città e del quartiere in cui quel locale sguazza, il tutto dopo aver dato voce senza contraddittorio alle chiacchiere vuote dei contestati Fico e Lomasto. 

Parlando di cose più serie, quelle sì che ci rimandano alla parola della settimana, ripenso spesso in questi giorni alle parole dei ragazzi che stanno passando intere giornate nella sala d’attesa del San Paolo per poter vedere cinque minuti i loro amici. «A una festa di tremila persone, perlomeno cinquecento c’hanno il coltello», mi ha detto L., che studia e gioca a basket, e che non mi sembra avere grossa dimestichezza con le armi da taglio. Ma lo sanno loro, e lo so io, che questa percentuale empirica è abbastanza vicina al vero, e che se oggi la tragedia si è sfiorata in un locale dove gli adolescenti vengono stipati come polli da batteria, poteva succedere ugualmente in uno dei bar poco distanti o in una gelateria del litorale. «Per difendermi, perché ce l’hanno tutti e può finire male», ti dicono se gli chiedi perché, e tu nei pochi minuti in cui riesci ad avere la loro attenzione fai fatica a smontargli quell’assunto senza prenderla da lontano, temendo alla fine che non ci sia altro destino che l’estinzione. 

Usciranno i figli di don Antonio, i parenti di don Arturo, i compari, i comparielli, gli amici, i protet­tori: una carneficina, una guerra fino alla distruzione totale. Meglio cosi. Può darsi che da questa distruzione viene fuori un mondo come lo sognava il povero don Antonio: meno rotondo ma un poco più quadrato. (fabio della ragione, il sindaco del rione sanità)

(riccardo rosa)

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